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Una giornata a Piacenza

Ciao! Sono Barbara, insegno italiano come lingua straniera e oggi ti parlo di Piacenza, la città in cui sono nata.

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Apro gli occhi, svegliata dalle grida di due ragazzi in strada.

Marcooo, dai, aspettami!

È l’ultima frase che comprendo e la prima della mia giornata. Sento poi dei passi svelti allontanarsi.

Ci metto un po’ a capire che quella frase era in italiano e che, effettivamente, sono in Italia! Mi ricordo, piano piano, che la sera prima sono atterrata a Bergamo con un volo Ryanair partito da Londra. Sono tornata a casa, la casa dei miei genitori.

Apro la porta ancora mezza-addormentata e mi dirigo automaticamente a fare colazione. Le abitudini da adolescente, non si perdono mai.

Buongiorno! Dormito bene?

Mio papà è già sveglio, vestito e attivo. Guardo l’ora, le 9. Mia mamma è già al lavoro da un’ora. Il papà, invece, è felicemente in pensione da un anno e si prende il tempo per fare le cose che gli piacciono, specialmente il volontariato e la cura del cane di mio fratello.

Sul tavolo, immancabili, almeno due pacchetti di biscotti “Mulino Bianco”. Mi sorprendo a vedere anche le fette biscottate e un vasetto di marmellata ancora sigillato. E una scatola con alcune bustine di tè. Probabilmente, i miei genitori hanno pensato che in Inghilterra le mie abitudini alimentari siano cambiate. Può darsi, a dire il vero, ma con poco coraggio. La colazione salata, ad esempio, è qualcosa che – per quanto mi sforzi – non potrà mai rientrare nella mia dieta.

Il dolce, nelle colazioni italiane, è infatti preponderante. Forse la gente pensa che noi italiani a colazione mangiamo sempre “cappuccio e cornetto”, come si vede nei film. Niente di più sbagliato! Quella, semmai, è la colazione del fine settimana, quando si va al bar con gli amici. È un cibo che si mangia solo in occasioni speciali, insomma.

A casa, al contrario, latte e biscotti sono la regola. Magari il latte con un po’ di caffè, che si chiama caffelatte. Certo, molte persone sono intolleranti al lattosio o preferiscono una versione vegetale della bevanda bianca, ma sempre di latte si tratta alla fine. Sì perché il tè, in Italia, non è mica tanto buono. (Il tè col latte, poi, è impensabile! Non provare a chiederlo al bar, ti guarderanno con aria interrogativa).

Vocabolario 1

le grida (nome femminile plurale) = the screams

dai = come on!

svelti (aggettivo maschile plurale) = quick

allontanarsi = stepping away

sono atterrata = I landed

mezza-addormentata = half-asleep

mi dirigo = I head to

sigillato = sealed

mi sforzi (sforzarsi) = to strive, to struggle

preponderante = preponderant, predominant

semmai = on the contrary

mica (rafforzativo) = at all


Comunque, ti ho menzionato la Mulino Bianco, un brand che fa parte della società Barilla, che probabilmente conosci per la pasta che esporta in tutto il mondo. La Mulino Bianco e la Barilla sono così famose che, posso dire, sono diventate parte della cultura italiana. I nomi dei biscotti della Mulino Bianco, per esempio, sono conosciuti da tutti gli italiani. Prova a chiedere a un italiano di spiegarti che cosa sono “Le Macine” oppure “Gli Abbracci” o “I Pan di Stelle”… sicuramente saprà risponderti.

Nelle corsie dei supermercati italiani, i biscotti occupano un’intera fila. I più visibili, ovviamente, sono quelli della Mulino Bianco, nella loro inconfondibile confezione gialla. A seguire, sopra e sotto, ci sono tutte le altre marche, che producono copie dei prodotti originali del brand.

La Mulino Bianco e la Barilla sono celebri anche per i loro spot televisivi, che hanno per la prima volta mostrato “la tipica famiglia italiana”. Negli anni, sono stati anche criticati per questa idea molto tradizionale della famiglia, quella in cui la donna rimane a casa a curare i figli e a cucinare mentre aspetta il ritorno del marito dal lavoro. Trovo molto interessante leggere i cambiamenti sociali attraverso gli spot pubblicitari. Qui sotto, ti metto alcuni esempi: uno del 1992, uno del 1996 e due del 2022… noti qualche differenza?

1992
1996
2022
2022

La mia mattinata prosegue tranquilla: lavoro un po’ al computer e aiuto mio padre a preparare la tavola per l’arrivo di mia madre per pranzo e poi di mio fratello, che dorme sempre fino a tardi perché lavora di notte (in questa fase della vita, la nostra famiglia funziona proprio al contrario!).

La mamma, che è sempre la mamma, si è svegliata all’alba per preparare i pisarei e fasö, un piatto tipico piacentino composto da piccoli gnocchetti a forma di fagiolo (fatti a mano, con solo acqua e farina) e un sugo rosso con fagioli scuri (si chiamano “borlotti”). La ricetta tradizionale vorrebbe anche la cotica di maiale, ma mia mamma ha sempre preparato la versione vegetariana.

Dopo un mega piatto di pisarei, vorrei solo fare un pisolino, ma ho un appuntamento con un’amica per visitare la mostra di Klimt.

Vocabolario 2

fila (la fila, le fila) = lines

marche (la marca, le marche) = brands

mega = big

un pisolino = a nap


C’è una storia misteriosa che lega il famoso pittore Gustav Klimt alla città di Piacenza che vorrei proprio raccontarti.

Tutto comincia nel lontano 1912, ma non siamo in Italia… siamo in Germania, nella città di Dresda. Qui c’è una mostra (una esibizione) che si chiama in tedesco Grosse Kunstausstellung dove viene esposto il dipinto “Ritratto di ragazza” di Klimt. Alcuni anni dopo, nel 1918, una rivista di arte pubblica una fotografia del dipinto, scrivendo che non si sa dove si trovi. L’ubicazione del dipinto è sconosciuta. In altre parole, “Ritratto di ragazza” è scomparso.

Passano gli anni e noi torniamo a Piacenza, in Italia. Nel 1925 il piacentino Giuseppe Ricci Oddi avvia (inizia) le trattative per acquistare un altro dipinto di Klimt con il titolo “Ritratto di signora”. L’acquisto va a buon fine e nel 1931 il dipinto è esposto nella Galleria Ricci Oddi di Piacenza.

Questa galleria, una pinacoteca, contiene meravigliosi quadri di arte moderna e molte scuole della città organizzano delle gite per farla visitare dai bambini e dai ragazzi. Nel 1996, una studentessa nota delle somiglianze tra il “Ritratto di signora” che vede alla Galleria e il “Ritratto di ragazza” che vede in fotografia. Il direttore del museo decide di fare analizzare il quadro e si scopre così che… i due dipinti coincidono! “Ritratto di signora” è stato dipinto da Klimt sopra “Ritratto di ragazza”. Il quadro, quindi, non era scomparso ma si era trasformato!

Ma la storia non finisce qui. Poco dopo aver scoperto il grande valore del quadro, il dipinto viene rubato! È il 1997.

Passano ben 22 anni prima che, un giorno di dicembre 2019, il giardiniere che stava lavorando nel giardino della Galleria, vede un pacchetto spuntare da un anfratto nel muro del museo. Aveva ritrovato il quadro, che – apparentemente – non aveva mai lasciato casa.

Vocabolario 3

lega = binds, has a bond with

mostra = exhibition

rivista = magazine

scomparso = disappeared

avvia = starts

va a buon fine = goes well, is successful

gite (plurale femminile) = scholar trips, tours

somiglianze = similarities

viene = è (passive form)

ben (rafforzativo) = even

anfratto = ravine, crevice


Io e la mia amica usciamo dalla mostra che il cielo è ancora chiaro, fa molto caldo e ci viene voglia di un gelato. Le propongo di andare nel mio posto preferito, dove il proprietario mi serve il gelato fin da quando ero bambina. È lui che mi ha raccontato una cosa che da allora non riesco a togliermi dalla testa ogni volta che entro in una gelateria.

“Per vedere se gli ingredienti sono buoni, guarda sempre il colore del gelato al pistacchio”, mi ha detto. “Se è troppo verde, allora contiene coloranti chimici. Il pistacchio naturale è più marrone!”.

Mentre cammino per il centro storico di Piacenza con il mio cono gelato in mano, non posso fare a meno di osservare le persone attorno a me.
Oltre al fatto che, in una città piccola come Piacenza, la probabilità di incontrare qualcuno che si conosce è di 1/10 (sì, davvero, ogni dieci persone che passano, una almeno l’hai già vista, sai che lavoro fa, è un’amico di un’amico o qualcuno che lavora in uno dei negozi della città)… Dicevo. Oltre a questa familiarità tra abitanti, per la prima volta nella mia vita ho notato una cosa: il numero incredibile di anziani che si vedono in città.

Sono nonni coi capelli bianchi che passeggiano con le mani incrociate dietro la schiena. Sono nonne a spasso con i nipotini, sono signore con la permanente e il trolley della spesa. A Londra, la maggior parte delle persone che si incontrano per strada o sui mezzi pubblici hanno un’età compresa tra i 16 e i 40 anni. Nelle piccole città italiane, invece, i nonni sono una colonna portante della società. Sono quelli che si prendono cura dei nipotini quando i genitori vanno a lavorare, quelli che cucinano il pranzo della domenica e invitano tutta la famiglia a casa loro, perché tutti abitano vicino e raramente vanno a vivere in una città diversa. Sono quelli che hanno di fatto permesso alle nuove famiglie di avere una casa in cui essere finalmente autonomi, raramente prima dei trent’anni.

È tutto meraviglioso, se visto da un occhio estraneo. Per esempio, adoro guardare su Instagram le foto che le ragazze americane di Who’s Emilia postano. Sono foto di bar pieni di anziani, con il loro immancabile “bianchino” (un bicchiere di vino bianco). Di anziane al mercato. Di anziani che leggono il giornale sulla panchina. Di nonne che preparano la pasta fresca (a mano!). E finalmente capisco perché tutto questo le affascina.
La verità è che tutti questi anziani costituiscono il vero welfare italiano, quello che lo Stato – purtroppo – fatica a fornire alle nuove generazioni. Questa, però, è un’altra storia, quindi ti lascio con qualche immagine di Piacenza che immortala la parte più bella della mia città.

Vocabolario 4

ci viene voglia = we are up for, feel like

anziani = old people (in a polite way)

a spasso = out for a walk

colonna portante = supporting column

di fatto = actually

panchina = bench

fatica a = struggles to

fornire = to supply, to provide


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Bologna è una favola!

Ciao! Sono Barbara, insegno italiano come lingua straniera e da novembre 2020 ti racconto l’Italia dal mio punto di vista. Oggi continuiamo il nostro viaggio in Emilia Romagna e andiamo a Bologna, la mia città preferita. Ah, ti avviso: potrei mettermi a cantare una canzone di Lucio Dalla da un momento all’altro! Prima però, come la scorsa volta, Massimo ci aiuterà a capire qualche espressione complessa con la traduzione in inglese…

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Bologna accoglie la diversità

La prima cosa di Bologna che si vede quando si scende dal treno è la vita. Il piazzale di fronte all’uscita della stazione centrale pullula di persone che vanno e vengono: studenti, lavoratori, turisti, innamorati, donne con bambini per mano, ragazzi con le cuffie nelle orecchie, vagabondi.

Sì, a Bologna ci sono proprio tutti e specialmente i vagabondi. Da dove vengo io, spesso li chiamiamo “barboni” per via della lunga barba che, di solito, questi uomini hanno. È un termine dispregiativo e forse sarebbe meglio chiamarli “senzatetto”, ma anche questa parola non sarebbe accurata, perché loro un tetto ce l’hanno ed è il cielo di Bologna.

Io ti avviso (ancora), il mio amore per Bologna è sconfinato come la capacità di accoglienza di questa meravigliosa città: Bologna accoglie tutti, italiani e stranieri, con o senza tetto. E Bologna ha accolto anche me, più o meno una ventina di volte (non lo so più, ormai ho perso il conto!).

Lucio Dalla e Piazza Grande

Ogni volta che metto piede a Bologna comincia a ronzarmi in testa una canzone di Lucio Dalla. E non importa se Lucio non c’è più: è come se lo sentissi ancora cantare dalla finestra di casa sua in via D’Azeglio, dove oggi si può ammirare la sua immagine dipinta sulla parete dell’edificio, per ricordare che Bologna era la casa di un indimenticabile cantautore e jazzista italiano.

Poco distante dalla casa di Lucio Dalla, c’è Piazza Maggiore, che i bolognesi chiamano “Piazza Grande“. E di fatto questo luogo nel cuore della città ospita la Basilica di San Petronio che, secondo il progetto elaborato nel 1388, avrebbe dovuto essere la chiesa più grande della cristianità, superando addirittura la Basilica di San Pietro a Roma. Poco male, perché dentro alla basilica si può trovare un vero primato: la meridiana più lunga del mondo, che misura 67 metri e attraversa la chiesa dal 1657.

Le “perle” di Bologna

Il centro di Bologna nasconde delle “perle” preziose per diversi motivi. Tra queste, non posso che citarti le Due Torri. Si chiamano La Garisenda e La Torre degli Asinelli e rappresentano oggi uno dei simboli della città di Bologna, perché sono le più alte rimaste ancora in piedi. Infatti, Bologna in passato aveva un centinaio di torri che rappresentavano il potere delle varie famiglie nobiliari della città. Ora ne sono sopravvissute 24 (pensa che almeno una di queste torri è abitata da un peculiare signore che, ogni tanto, la apre al pubblico e permette a chi vuole di visitare la sua casa… senza ascensore!)

Un’altra “perla” di Bologna, secondo me, è la Basilica di Santo Stefano: in assoluto il mio posto preferito in città. Se hai visto il film “L’isola delle rose” e ti ricordi la scena in cui il vigile ferma la strana automobile con a bordo i due ragazzi, sappi che quella scena è stata girata proprio lì, davanti a Santo Stefano.

La Basilica di Santo Stefano mi piace perché non è quello che sembra: quando entri appare piccola e semplice, ma se non ti fermi alle apparenze e prosegui un po’ più avanti… scopri che in realtà nasconde ben 7 chiese al suo interno.

L’ultima volta che mi sono ritrovata in Piazza Santo Stefano, di fronte alla chiesa, una mia amica mi ha detto: “Che bello… avrei voluto fare l’università qui!”

Era un sabato pomeriggio di maggio, c’era il sole e stavamo passeggiando tra le bancarelle di un mercato all’aperto, coloratissimo e pieno di libri antichi, tazze e piatti di porcellana, dischi in vinile e gioielli artigianali.

“Sì, anch’io!” le ho risposto, pensando alla famosa Università di Bologna… lo sapevi che è la più antica del mondo?

L’università più antica del mondo

L’Università di Bologna (Alma Mater Studiorum) è stata fondata nel 1088!

Certo, all’inizio non esisteva una struttura fisica che ospitasse gli studenti. Infatti, l’università come istituzione fu creata grazie alle donazioni degli studenti che si erano organizzati in collegi. Se oggi vai a visitare il palazzo dell’Archiginnasio nel centro di Bologna, puoi vedere ancora la rappresentazione degli stemmi di questi collegi studenteschi. Il palazzo dell’Archiginnasio diventò sede fisica dell’Università dal 1563. Lì, puoi anche visitare il famoso “Teatro Anatomico”: un’elegante aula dove gli studenti si sedevano su grandi gradini (quindi dei “gradoni”) di legno per imparare l’anatomia osservando il lavoro dei medici su… dei corpi!

L’ingresso del palazzo si trova in Piazza Galvani n.1, sotto i portici.

Per quanto riguarda la piazza, mi è piaciuta così tanto che ho deciso di dipingerla. Per quanto riguarda i portici, adesso ti spiego qualcosa di molto interessante…

Bologna è la città dei portici

Leggo su Wikipedia che non esiste al mondo un’altra città che abbia tanti portici quanto Bologna: tutti insieme i porticati sono lunghi più di 38 chilometri nel centro storico e fino a 53 chilometri se si contano quelli fuori dal perimetro delle antiche mura.

I portici di Bologna sono così speciali da essere stati candidati a far parte della lista dei beni UNESCO: scopriremo a luglio se entreranno nella World Heritage List.

Una cosa è certa: grazie ai suoi portici, Bologna è la città perfetta da visitare anche con la pioggia. Si può passeggiare a lungo per le vie della città senza mai aprire l’ombrello!

Quando a Bologna c’è il sole, però, a me piace prendere la bicicletta. Uso quelle pubbliche, che sblocco con un’app che ho installato sul mio smartphone e poi comincio a pedalare. È così che un giorno mi sono ritrovata in via Piella e ho notato una cosa strana: c’era una piccola finestra ricavata in una parete rossa.

Così, mi sono avvicinata e l’ho aperta. Non potevo credere ai miei occhi: davanti a me c’era un canale d’acqua che bagnava i muri delle case proprio come a Venezia!

Più tardi, ho scoperto che la “finestrella di Via Piella” è la testimonianza più evidente di un pezzo di storia bolognese. Nel Medioevo, infatti, i bolognesi trovarono un modo per risolvere un grave problema: la mancanza di acqua in città. Infatti, Bologna non è bagnata dal mare e non è attraversata da un fiume.

Così, deviarono l’acqua del vicino fiume Reno con una diga e la fecero arrivare in città per utilizzarla a scopo commerciale e produttivo (è grazie ai mulini ad acqua che i bolognesi diventarono abili produttori di seta).

Oggi, esiste una “Bologna sotterranea” dove scorre l’acqua che rifornisce ancora buona parte delle case cittadine e, specialmente, la bellissima fontana del Nettuno che si trova vicino a Piazza Maggiore.

Potrei stare ancora ore a raccontarti Bologna. Ti parlerei della musica, delle lotte partigiane, degli episodi di terrorismo, delle ricette dei tortellini e della torta di riso. Ma il tempo, per oggi, è finito.

Facciamo così, ti dico un’ultima curiosità e – se non la capisci – te la spiego la prossima volta.

Bologna è chiamata “la dotta, la grassa e la rossa”… Secondo te, perché?

Vocabolario

si scende (dal treno)= one gets off (the train)

pullula (pullulare) = swarms

le cuffie = headphones

dispregiativo = derogatory

ti avviso = I warn you

sconfinato = boundless

(la) accoglienza = the welcome

più o meno una ventina di volte = more or less twenty times

ormai = now

metto piede a (mettere piede a) = set foot in

ronzarmi in testa (es. mi ronza in testa una canzone) = playing on my mind, playing it over in my head

superando = breaking the record

addirittura = even

Poco male (espressione) = Never mind

la meridiana = the sundial

non posso che = I can only

in piedi = standing (the meaning is the two old towers are still there)

ascensore = the lift

la scena = the scene

il vigile = the police man

a bordo (espressione) = on (the car)

sappi (imperativo di “sapere”) = be aware that

è stata girata = it was filmed

stemmi = crests

(la) sede = the seat, the “home”, the headquarters

aula = hall (in this context)

sblocco (da “sbloccare”) = unlock

pedalare = to cycle, to ride

ricavata da/in = obtained from

la mancanza = the lack

deviarono = went astrey, diverted

diga = dam

mulini = mills

seta = silk

te la spiego = I’ll explain that



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Una giornata a Modena… vieni con me?

Ciao! Sono Barbara, insegno italiano come lingua straniera e da novembre 2020 ti racconto l’Italia dal mio punto di vista. Iniziamo oggi un viaggio nella bellissima Emilia Romagna, la regione in cui vivo. Cominciamo da Modena, la città di Pavarotti, della Ferrari, delle tigelle e del ristorante più famoso al mondo… ma prima impariamo qualche parola nuova insieme a Massimo, che ci aiuterà con la traduzione in inglese.
PS. Puoi leggere anche le storie passate e il mio profilo.

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L’Emilia Romagna e la via Emilia

L’Emilia Romagna è la mia regione italiana preferita. Le ragioni sono tante: non solo perché ci sono nata e perché mi ha sempre dato pochi motivi per cui lamentarmi (e, per un italiano, ti assicuro che è una grande conquista!), ma anche perché è un po’ verde e un po’ rossa.

Per quanto riguarda il primo colore, mi riferisco agli alberi, ai colli, alla campagna ridente: l’Emilia Romagna è una regione in cui l’uomo ha un rapporto forte con la natura. Per esempio, nelle strade di una città come Modena, gli alberi non mancano mai. Ci sono lunghi viali alberati che rinfrescano i passanti con la loro ombra, ci sono parchi per far giocare i bambini e far sorridere gli innamorati e, tra le mura del centro storico, c’è sempre qualche giardino nascosto.

L’Emilia Romagna è attraversata da un’antica strada romana, costruita più di 2000 anni fa. Questa strada si chiama “Via Emilia” e, da nord a sud, incrocia 8 città d’arte speciali (*Ho sbagliato…Sono 9!): Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Forlì, *Faenza, Cesena, Rimini… ed eccoci al mare. Altre due città, altrettanto belle, rimangono fuori dal percorso della “Via Emilia”: Ferrara e Ravenna, però, si raggiungono facilmente, una volta in viaggio.

Perché ho detto che l’Emilia Romagna è rossa? Beh, si tratta di un colore politico (ti avevo già parlato del valore sociale dei colori, ti ricordi?) che è legato a una storia di lotte partigiane e di personaggi che hanno fatto la storia.

E poi nella storia di Modena incontreremo un altro rosso, un rosso fiammante… quello della Ferrari!

La Fondazione Marco Biagi

La prima cosa che ho visto a Modena è stata la Fondazione Universitaria Marco Biagi. Mentre mi incamminavo verso il centro della città lungo la Via Emilia (che lo attraversa in pieno) ho visto tale elegante edificio… così bianco che mi è sembrato “fresco di pittura“. A dire il vero, la storia che questo luogo ricorda è ancora fresca nella memoria di molte persone.

Era il 19 marzo 2002 e il professore universitario Marco Biagi stava rincasando. Era stato a Modena, dove insegnava diritto del lavoro all’Università. Era sceso dal treno ed era salito in sella alla sua bicicletta, che come sempre lasciava alla stazione di Bologna, la città dove abitava. A pochi passi da casa, degli uomini con il volto coperto da caschi integrali gli hanno sparato 6 colpi di pistola. Marco Biagi è morto quella sera.

L’omicidio fu rivendicato dal gruppo terroristico di estrema sinistra “Nuove Brigate Rosse”, che comunicò ai giornali di essere contro la riforma del lavoro a cui il governo stava lavorando con il contributo accademico di Marco Biagi.

Il progetto di legge fu approvato all’inizio del 2003 e divenne noto a tutti come “Legge Biagi”.

La Fondazione Marco Biagi fu costituita dalla famiglia del professore, dai colleghi e dai suoi allievi per onorare la sua memoria e per creare un legame tra università, mondo del lavoro e territorio. Proprio il territorio che ti sto raccontando e che voglio raccontarti sempre di più.

Luciano Pavarotti

Passeggiare per il centro di Modena è bellissimo. In primavera i bar mettono fuori i tavolini, dove si può prendere un caffè o un aperitivo, mentre il sole illumina le chiese antiche e le volte che circondano le piazze.

Sotto una di queste volte, cioè le piccole gallerie che stanno sotto i palazzi più antichi della città, ho incontrato una statua di un grande uomo con le braccia aperte e il viso sorridente. È Luciano Pavarotti.

Tutti conoscono Pavarotti, anche se non sono mai andati a vedere l’opera. Ma se forse tu ancora non lo conosci, ti basterà guardare uno dei numerosi video che lo hanno immortalato per sempre e che sono disponibili sul web.

Sì, perché Luciano Pavarotti non è stato solo un grande tenore italiano, ma è stato colui che ha reso la musica lirica accessibile a tutti. Tra il 1992 e il 2003 “Pavarotti & Friends” è stato l’evento annuale che ha portato la voce di Pavarotti a unirsi al quella di artisti italiani come Jovanotti e internazionali come Elton John o… le Spice Girls!

Su Wikipedia è riportata una citazione molto bella riguardo a questa unione tra musica classica e musica leggera. Pare infatti che Pavarotti abbia detto:

«Alcuni dicono che la parola “pop” è sinonimo di “non importante”: io non accetto questo. Se la parola “classica” è la parola per dire “noioso”, io non lo accetto. Esiste musica buona e cattiva».

“Pavarotti & Friends” si è svolto sempre a Modena ed è stato trasmesso in diretta televisiva dalla Rai, la tv pubblica italiana. Durante l’evento sono state raccolte donazioni per cause umanitarie, destinate specialmente ai bambini vittime delle guerre.

L’evento ebbe un’eco enorme e, come tutti i grandi eventi fu acclamato e criticato. All’epoca io ero una bambina e solo ora mi rendo conto che Big Luciano è stato in grado di coinvolgere con la musica migliaia di persone diverse! Lo ha fatto col concerto del 1980 al Central Park di New York o con l’esibizione all’aperto del 1991 all’Hyde Park di Londra, davanti a un pubblico di 330 000 persone, tra cui Lady D.

Il ruolo di Pavarotti lo ha fatto viaggiare molto, ma la “sua” Modena gli è rimasta sempre nel cuore. E proprio a Modena ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, consapevole della malattia, ma non per questo incapace di attirare a sé le persone. Ha infatti continuato a insegnare canto nella sua casa fino al 2007, quando per l’ultima volta ha riunito insieme 50 000 persone nel Duomo di Modena in occasione del suo funerale.

Piazza Duomo a Modena e i partigiani

Il Duomo di Modena è una chiesa di una bellezza sorprendente e dal 1997 è nella lista dei siti italiani patrimonio dell’umanità dell’UNESCO insieme alla sua torre campanaria, che è chiamata “Ghirlandina”. Nelle giornate di sole, il marmo rosa di cui è fatto il Duomo risplende nel centro della grande piazza sui cui si affaccia, che appunto si chiama “Piazza Grande” ed è circondata da palazzi antichi come l’edificio seicentesco che ospita il Comune della città.

“Piazzetta Torre”, invece, è più piccola e si trova dietro il Duomo. Questo spazio raccolto e un po’ intimo è oggi un monumento per ricordare molte persone coraggiose: gli uomini e le donne che hanno combattuto per resistere all’occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Subito dopo la Liberazione (si tratta della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, che si celebra ogni 25 aprile), i modenesi cominciarono a portare lì le fotografie dei loro familiari che non erano più tornati a casa, sperando di ottenere informazioni su di loro nel caso qualcuno li avesse riconosciuti. Noi italiani li chiamiamo “i partigiani”.

Ancora oggi le foto in bianco e nero dei partigiani di Modena sono esposte sul muro della “Ghirlandina” così che in ogni momento chiunque possa fermarsi per un sorriso o per un “grazie”.

L’Osteria Francescana

Se girando per Modena ti venisse un po’ di fame, non potresti andare all’Osteria Francescana… a meno che tu non abbia prenotato con mesi di anticipo. Questo ristorante è tanto prestigioso quanto caro, ma chi ci è stato afferma che ne vale la pena. Perché un pranzo o una cena all’Osteria Francescana dello chef Massimo Bottura vale tutte le centinaia di euro che ti costerà.

Vorrei leggerti le poche parole che lo chef usa per descrivere un’esperienza nel suo ristorante con 3 stelle Michelin, che ha ottenuto il riconoscimento di “miglior ristorante al mondo”.

Mi chiamo Massimo Bottura. Sono uno chef italiano nato a Modena.
Sono cresciuto sotto al tavolo dove mia nonna Ancella tirava la sfoglia. Il mio sogno è cominciato lì. L’ispirazione viene dal mondo che mi circonda – dall’arte alla musica, dal cibo buono alle macchine veloci.
Dovete cogliere il lampo che illumina l’oscurità. Preparatevi a sorprendervi.

Enzo Ferrari

Come ti ho accennato all’inizio, Modena è una città molto verde, infatti è piena di parchi. Il più grande ha al centro un laghetto e spesso ospita concerti ed eventi… Si chiama “Parco Enzo Ferrari”.

Enzo Ferrari era un uomo che definiva se stesso “un costruttore” più che un imprenditore. E di fatto, questo ambizioso modenese (che visse ben due guerre mondiali!) per tutta la sua vita seppe costruire automobili, ma anche moltissime relazioni. Alcune non andarono subito a buon fine, altre si incrinarono nel tempo ma poi ritornarono, si riallacciarono proprio come si fa quando si crede davvero in qualcosa o in qualcuno.

Per esempio la relazione con la Fiat, la famosa casa automobilistica torinese, iniziò con un rifiuto: il giovane Enzo si propose per lavorare in Fiat nell’inverno del 1918-19 ma senza successo. Cinquant’anni dopo, il 18 giugno del 1969, Enzo Ferrari era già famosissimo in tutto il mondo e con vari appellativi. Uno di questi quel giorno era comparso su molti giornali che annunciavano il “matrimonio finanziario” tra Il Drake e la FIAT.

L’azienda di Enzo Ferrari era nata ufficialmente nel 1947, nella sede di Maranello, un piccolo paese fuori Modena. Dalle porte di Maranello entrarono e uscirono piloti del calibro di Niki Lauda, che fu due volte campione del mondo alla guida di una Ferrari: nel 1975 e nel 1977. In una delle rare interviste che rilasciò alla stampa, Enzo Ferrari disse una cosa a proposito dei piloti che mi ha colpito molto: disse che i piloti hanno un talento che non si può imparare e che loro sanno andare da chi li farà vincere.

Lo stesso Ferrari aveva iniziato la sua carriera come pilota, ma diventò poi – oltre che costruttore – anche un sapiente comunicatore, con un’attenzione all’immagine che si rivelò all’avanguardia per il tempo, quando il marketing era ancora una prassi poco usata nel settore delle corse. Uomo ambizioso e instancabile lavoratore, quando gli chiesero quale fosse stata la migliore auto che avesse mai costruito lui rispose: “la migliore auto è quella che devo ancora costruire.”

Suo figlio Piero, in un’intervista, disse: “Mio padre aveva una marcia in più“.

E con queste parole, lasciamo Modena. Ce la immaginiamo al tramonto, in una serata primaverile in cui soffia una brezza leggera che muove le foglie nei vasi fuori dall’Osteria Francescana, sfiora la statua di Pavarotti, rallenta davanti ai volti dei partigiani di Piazzetta Torre e bussa alle porte della Fondazione Biagi. Ora è chiusa, ma domani riaprirà per un’altra giornata di lavoro a Modena.

Vocabolario


la regione = the region

la ragione = the reason

i motivi = the reasons

lamentarmi (lamentarsi)= to complain

ti assicuro (assicurarsi)= I assure you

mi riferisco a (riferirsi a) = I mean

i colli = hills

ridente = florishing (in this context – literally it means “laughing”)

non mancano = there are always

i passanti = the passersby

l’ombra = the shadow

far sorridere = make (the lovers) smile

gli innamorati = the lovers

incrocia (incrociare) = intersects

altrettanto = likewise

il percorso = the path, the route

le lotte partigiane = partisan fights

fiammante = shiny

mi incamminavo (incamminarsi) = to start down, to set of

tale = such

“fresco di pittura” = freshly painted

stava rincasando (rincasare) = was returning home

diritto del lavoro = labour law

in sella = in the saddle

lasciava = he used to leave

il volto coperto = face covered

i caschi integrali = full face helmets

hanno sparato = they shot

colpi di pistola = gunshots

fu rivendicato = was claimed

il gruppo terroristico = terrorist group

contro = against

gli allievi = the students

il legame = the bond

illumina (illuminare) = lights up

le volte = the arches

il viso sorridente = the smiling face

ti basterà = simply

lo hanno immortalato = they captured him

colui = the one (who…)

ha reso = he made

unirsi = to join

riguardo a = concerning, regarding

sono state raccolte = have been collected

destinate a = addressed to

è stato in grado di coinvolgere = he was able to involve

un pubblico = an audience

lo ha fatto viaggiare = allowed him to travel

una bellezza = (such) a beauty

appunto = indeed

subito dopo = right after

a meno che (non) = unless

ne vale la pena = it is worth it

ti ho accennato (accennare) = I mentioned

non andarono a buon fine (andare a buon fine) = went wrong

subito = at first (in this context)

un rifiuto = a rejection

appellativi = names, titles, appellations

del calibro di = the likes of, of the caliber of

a proposito di = speaking of

si rivelò = proved to be

una prassi = a custom

corse = races

instancabile = tireless

aveva una marcia in più (avere una marcia in più) = to have an edge over

brezza = breeze

sfiora = touches

rallenta = slows down

bussa = knocks



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