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Finestre sul mondo e tradizioni italiane

Iniziamo il 2021 con uno sguardo (a look) fuori dalle nostre finestre e poi parliamo di tue tradizioni italiane di questo periodo…


Finestre sul mondo

Per Natale ho ricevuto un regalo interessante. Si tratta di un libro molto particolare, che mi ha regalato Michele. Lui fa lo psicologo e penso che sia molto bravo, infatti capisce davvero le persone.

Ha capito che una delle cose che mi è mancata di più nel 2020 è stata viaggiare, ma non semplicemente il viaggiare per turismo, bensì il viaggiare per vedere come vivono le persone nei loro Paesi, nelle loro città e nelle loro case.

L’autore del libro è il professore e architetto italiano Matteo Pericoli, che ha raccolto (e disegnato!) 50 vedute dalle finestre di 50 scrittori di tutto il mondo. Si tratta, appunto, di brevi racconti scritti da autori internazionali che hanno descritto quello che vedono fuori dalla finestra. Inutile dire che per me è quanto di più affascinante, intimo e rivelatore ci possa essere.

Infatti, mi sono resa conto che il paesaggio che ognuno di noi ha guardato tutte le mattine durante lo scorso lungo anno è stato tanto banale quanto sorprendente.

Mi sono anche chiesta quello che tu hai visto e quale storia si nasconde dietro la tua finestra sul mondo.

Per esempio, una mia studentessa mi ha raccontato che nel palazzo di fronte al suo, nel cuore della city di Londra, c’è una giovane donna che tutte le mattine si mette al lavoro all’alba e non smette fino a notte fonda. Chissà che cosa fa davanti a quei due enormi monitor tutti i giorni…

Vorresti sapere che cosa vedo io fuori dalla mia finestra italiana? Non molto, a dire il vero, dato che vivo in un quartiere periferico piuttosto tranquillo. Tuttavia, la mattina del 28 dicembre, la mia piccola porzione di Italia si è tinta di bianco e mi ha fatto sentire un po’ fortunata per quella veduta speciale.

Due tradizioni italiane

Ora che ti ho portato in Italia, voglio raccontarti due cose che noi italiani facciamo in questo periodo. La prima è il modo in cui festeggiamo il Capodanno.

Al di là dei festeggiamenti con botti, petardi e fuochi d’artificio (quando si poteva) e dei concerti dal vivo nelle piazze delle città italiane (di nuovo, quando si poteva) sulle tavole dei miei connazionali non smettono di comparire prelibatezze di ogni tipo.

Devo confessarti che è molto difficile parlarti di “cosa mangiano gli italiani a Capodanno”, perché – come spesso accade – le tradizioni variano di regione in regione e di città in città, perciò come sempre ti parlerò di quello che accade a me, che vivo a Piacenza, in Emilia Romagna.

Prima però, devo farti una premessa importante: difficilmente gli italiani mescolano pietanze di carne a piatti di pesce, ma preferiscono scegliere tra una cena di carne oppure una cena di pesce.

(Pensa che esiste un detto che dice: “non è né carne né pesce”, indicando qualcosa di indefinito in modo piuttosto dispregiativo proprio per questo motivo.)

Ad ogni modo, chi opta per una cena di pesce di solito inizia con un antipasto di capesante gratinate in forno e prosegue con del salmone cucinato in diversi modi.

Chi invece rimane sulla carne, come ho fatto io, non può evitare di preparare il classico zampone (oppure il cotechino o la mariola o il salame cotto o lo stinco… Ed è meglio se mi fermo qui se no ti faccio confusione) accompagnato da purè di patate e da lenticchie in umido. Per concludere, immancabili sono il panettone o il pandoro con la crema al mascarpone e poi l’ananas e l’uva (che si dice che “porti soldi”).

Penserai forse che, con tutto questo “ben di Dio”, il Capodanno sia la conclusione del periodo di festa. E invece no!

In Italia manca ancora l’ultimo giorno: “L’Epifania, che tutte le feste porta via”. Il 6 gennaio, infatti, è tradizione attendere l’arrivo della Befana, una strega che porta i dolciumi ai bambini buoni e il carbone a quelli cattivi.

Questa giornata è solitamente un po’ malinconica per tutti: il 7 gennaio ricomincia la scuola per i più piccoli e il lavoro per i grandi. Forse, però, quest’anno tutti saranno un po’ più felici di ricominciare le loro vite con una rinnovata speranza nel domani.

Vocabolario


si tratta di = It’s about, It is…

davvero = truly, really

mi è mancata = I missed

ha raccolto = I collected

le vedute = the views

brevi racconti = short stories

Inutile dire che = It goes without saying that

il paesaggio = the landscape

tanto banale quanto sorprendente = as ordinary as it was extraordinary

si nasconde = hides behind

nel palazzo di fronte al suo = in the building opposite hers

l’alba = the sunrise

notte fonda = deep night

un quartiere periferico = a suburban district

si è tinta di bianco = it turned white

voglio raccontarti = I wanna tell you

il Capodanno = New Years’ Eve

non smettono di comparire prelibatezze di ogni tipo = delicacies of all kinds never stop appearing

come spesso accade = as always happens

quello che accade = what happens

una premessa = premise

mescolano = they mix

evitare = to avoid

ti faccio confusione = You got confused (by me)


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Chi è Santa Lucia per i bambini italiani

Che cosa ti ha portato Santa Lucia?
Se questa domanda è un po’ strana per te, continua a leggere… Perché sto per raccontarti una storia un po’ vera e un po’ magica, come promesso.


Il 13 dicembre

La sera del 12 dicembre, io e mio fratello andavamo a letto presto. Prima di metterci il pigiama e lavarci i denti, preparavamo un piattino con qualche biscotto e un frutto per Santa Lucia (non conoscevamo bene i suoi gusti) e una carota per il suo asinello. Poi, ci infilavamo sotto le coperte e stavamo attenti a tenere gli occhi ben chiusi fino al mattino. Sapevamo che Santa Lucia è cieca, perché non ha gli occhi! Per questo è anche molto riservata e se i bambini la guardano in faccia lei scappa via e non torna mai più.

Da quando ho memoria, ogni mattina del 13 dicembre mi sono sempre svegliata molto presto e non importava se fuori stesse piovendo o ci fosse il sole… L’unica cosa importante era vedere se Santa Lucia fosse “passata”.

Alla fine, “passava” sempre. Tra tutte le case dove dormivano i bambini in attesa dei regali, lei ha sempre trovato il tempo di passare anche per casa nostra! E così, non appena la luce del giorno filtrava dalla finestra, mi precipitavo in sala a vedere uno degli spettacoli più grandiosi di tutta la mia vita: sotto l’albero di Natale, lampeggiante di lucine colorate, erano comparsi moltissimi pacchetti! Prima di aprirli, correvo in camera di Matteo per svegliarlo. “Teo, vieni a vedere! É passata Santa Lucia!”. Lui, piccolino com’era, faceva fatica a capire esattamente di cosa stessi parlando, ma mi seguiva ugualmente, attirato dall’entusiasmo di quel giorno speciale.

Quel giorno, a scuola, le maestre ci concedevano di portare con noi un regalo per mostrarlo ai nostri compagni. “Cosa ti ha portato Santa Lucia?” era la domanda che echeggiava nei corridoi e nelle aule dell’edificio per tutto quel magico giorno.

La vera storia di Santa Lucia

Lucia era una ragazza ricca che è vissuta dal 283 al 304 d.C. a Siracusa (Sicilia). Nonostante fosse promessa sposa a un giovane nobile dell’epoca, ha deciso di dedicare la sua vita ai poveri. Quando aveva solo 21 anni è stata uccisa in modo brutale durante la persecuzione dei cristiani voluta dall’imperatore Diocleziano: le hanno cavato gli occhi e per questo è considerata una martire e una santa. Santa Lucia è ricordata dalla Chiesa cattolica e ortodossa il 13 dicembre ed è anche considerata la protettrice della vista. Il nome Lucia deriva dal latino lux, che significa luce.

La Sicilia non è l’unico luogo dove la tradizione di Santa Lucia è rimasta viva: questo accade anche in un quartiere di Napoli (in Campania), all’Aquila (Abruzzo) e a Siena (Toscana).

Inoltre, molti bambini del Nord Italia aspettano l’arrivo di Santa Lucia nella notte tra il 12 e il 13 dicembre: in Trentino, nel Friuli (provincia di Udine), in Lombardia (province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Mantova, Pavia e Sondrio), in parte del Veneto (province di Verona e Vicenza) e in Emilia (province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Piacenza – dove vivo io).

Il dilemma dei regali

In sella all’asinello, Santa Lucia porta i regali a tantissimi bambini italiani, durante la notte. E’ una gran fatica, ma perlomeno non ha il problema di COSA regalare: infatti, lei riceve una lettera con i desideri di ogni bambino, proprio come Babbo Natale.

Per me, invece, il dilemma dei regali sta diventando sempre più grande: cosa regalo ad amici e parenti per Natale? Ogni anno mi faccio la stessa domanda, ma in questo 2020 tutto è diventato più complicato.

Infatti, di solito mi piace regalare “esperienze” come biglietti per concerti o per viaggi. Come sai, la pandemia ha fermato tutti gli eventi e ha bloccato tutte le mie idee… Tranne una.

Ho deciso di creare un nuovo regalo per tutti quelli che, come me, sono rimasti senza idee. Si tratta di un regalo virtuale, che può diventare reale in qualsiasi momento: un pacchetto di 3 lezioni di italiano online, con me.

Vocabolario


piattino = small dish
gusti = taste
asinello = little donkey
riservata = discreet
scappa via = runs away
passare = to come by / to stop at
non appena = as soon as
precipitarsi = to rush into
sala = living room
spettacoli = shows
lampeggiante di lucine = with blinking Christmas lights
erano comparsi = appeared
camera = bedroom
piccolino = very small (a child)
faceva fatica = he was not completely able to
ugualmente = anyway
attirato da = attracted by
ci concedevano di = they allowed us to
mostrarlo = to show it
echeggiava = to be echoing
aule = classrooms


promessa sposa = betrothed
poveri = poor people
è stata uccisa = she was killed
voluta da = wanted by
cavare gli occhi = to rip the eyes
accade = It happens
l’arrivo = the arrival


In sella = Riding
fatica = effort
perlomeno = at least
regalare = to donate
ha fermato = stopped
ha bloccato = blocked


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Una storia d’amore (e di imprevisti)

Today I’ll show you what we use to eat for Christmas in Piacenza, my hometown. This year, as probably many of you experienced, we came through some unexpected events (imprevisti)…


Un piatto di anolini

(see the audio-cover above) Se ti stai chiedendo se ho cucinato io questo piatto, la risposta è no.
E se ti stai chiedendo che cos’è, la risposta è un piatto di anolini, il cibo che tutti i piacentini (gli abitanti di Piacenza) mangiano per Natale.
Si tratta di pasta fatta in casa e ripiena di stracotto, servita in un brodo casalingo gustosissimo e, per chi vuole, il piatto viene arricchito da una spolverata di formaggio (Grana Padano).
Solo i “veri piacentini”, quando hanno finito di mangiare l’ultimo anolino ma nel piatto è rimasto un po’ di brodo, fanno una cosa davvero fanatica: il “sorbì”.
Significa versare un po’ di vino rosso (tendenzialmente Gutturnio) dal bicchiere al piatto, per poi bere il mix rosaceo di brodo e vino con grande soddisfazione.
Ogni famiglia, a Piacenza, segue certe abitudini natalizie, che solitamente variano solo in termini di tempo.
Nella mia famiglia, ad esempio, gli anolini si fanno il primo fine settimana di dicembre (e poi si congelano, fino a Natale) e l’albero (di Natale) si fa il giorno dell’Immacolata (l’8 dicembre – che in Italia è un giorno festivo) così è pronto per accogliere Santa Lucia il 13 dicembre (se non sai cos’è la festa di Santa Lucia, pazienta un attimo, te lo spiego tra poco).
Ora che ho fatto tutte queste premesse, posso dirti che quest’anno ho già infranto due regole tra quelle seguite ossessivamente dalla mia famiglia ogni anno.
A causa di un imprevisto, questa mattina non ho potuto andare a casa dei miei genitori per preparare gli anolini insieme a mia madre e quindi ho utilizzato il tempo guadagnato per fare l’albero di Natale insieme a Massimo. Ora te lo mostro, ma non ridere per favore. Lo so che è piccolo e umile, però è vero! Il nostro primo albero vero.

Questo semplice episodio è solo l’ennesimo esempio di una serie di imprevisti che quest’anno, ne sono certa, hanno travolto tutti noi.
La pandemia (sempre lei!) ci ha fatto annullare viaggi, rinunciare a incontri, costretto a festeggiare i compleanni in casa (non importa se fosse il nostro trentesimo, cinquantesimo o settantesimo compleanno) e ci ha costretti a fare i conti con l’incertezza causata dagli imprevisti.

Una storia d’amore e d’imprevisti

A dire il vero, gli imprevisti sono parte della vita di tutti noi, ma non sono sempre così frequenti. Nella mia, hanno iniziato a esserlo a partire dal 2015, quando un bel giorno Massimo mi ha detto “vieni a Barcellona con me?”. Lui doveva fare un periodo di sei mesi all’estero durante il suo PhD (in Italia si chiama “Dottorato”) e io avevo da poco terminato il mio secondo internship in aziende italiane che non mi avevano dato grandi prospettive di carriera.
E così, siamo partiti per un’avventura non prevista in Spagna che è durata inaspettatamente dieci mesi, finché non ci siamo trovati davanti a un altro imprevisto… Massimo aveva trovato lavoro negli Stati Uniti!
Questa grande notizia per lui, per me si è rivelata una complicazione: va bene la Spagna, ma come avrei potuto raggiungerlo a San Francisco?
Le alternative per me erano due: o sarei rimasta a vivere da sola a Barcellona, in Spagna, con il mio nuovo lavoro e i miei nuovi amici, o sarei ritornata a Piacenza, in Italia, con i miei genitori e i miei vecchi amici.

Indovina che cosa ho scelto?
Ebbene, sì. Ho scelto la seconda opzione ed è così che la mia emozionante vita in salita ha iniziato il suo declino.
Mi sono ritrovata senza lavoro, senza autonomia e persino senza amici, dal momento che – giustamente – le loro vite erano andate avanti senza di me.

Che cosa mi era successo?
La verità è che non ero stata in grado di gestire un imprevisto.

In quei giorni bui, privi di una direzione, ho preso un treno per Bologna.
Bologna è la città principale della regione in cui vivo, l’Emilia Romagna, ma io non l’avevo mai visitata.
Non appena arrivata in stazione, mi sono ritrovata in una città accogliente, tranquilla e molto viva.
I colori caldi delle case, la bellezza architettonica degli archi, la gentilezza dei gestori di bar e ristoranti e l’allegro brusio degli studenti universitari mi hanno ridato speranza: la speranza che potessi ancora trovare il mio posto nel mondo.

Ora che ne è passata di acqua sotto i ponti, non so dirti quante volte sono ritornata a Bologna, sempre con persone speciali. Ero persino riuscita a convincere Massimo a trasferirci definitivamente lì, nel luogo che mi aveva salvata da un periodo difficile.
Ma la pandemia mi ha di nuovo rotto le uova nel paniere: un altro imprevisto.

Non fa niente, perché gli imprevisti, alla fine, sono piuttosto interessanti.

Ps. Lo so che devo ancora spiegarti la storia di Santa Lucia. Facciamo così: te la racconto direttamente il 13 dicembre… Tu devi solo ricordarti di controllare la mail.

Vocabolario 1


ripiena di stracotto = filled with stewed meat
gustosissimo = very tasty
viene arricchito da = is enriched with
una spolverata = a sprinkling
fanatica = fancy
tendenzialmente = mostly
si congelano = you freeze them
pazienta un attimo = please wait
le premesse = introduction
ho infranto = I broke
un imprevisto = the unexpected
guadagnato = gained, saved
ennesimo = umpteenth
annullare = to cancel

Vocabolario 2


estero = abroad
avevo terminato = I had ended
le prospettive = the outlook
raggiungerlo = to reach him
da sola = on m,y own
Ebbene = Well…
persino = even
dal momento che = because
giustamente = reasonably
Che cosa mi era successo? = What happened to me?
non ero stata in grado di = I was’t able to
gestire = to manage
bui = dark
privi di = without, with no
principale = main
mi sono ritrovata = I found myself
i gestori = the owners
l’allegro brusio = the happy chatter
ne è passata di acqua sotto i ponti = Now It’s been a while since that time
trasferirci = to move
rompere le uova nel paniere = literally “to break the eggs in the basket”, it means “to ruin a plan”
Non fa niente = It’s ok


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Hai mai fatto una figuraccia?

Do you know what “fare una figuraccia” means in Italian? I’m telling you just now, with some personal examples…


Una figuraccia in Italia

Oggi voglio raccontarti un fatto imbarazzante che mi è successo qualche anno fa. Beh, uno dei tanti, a dire il vero… Ma preferisco limitarmi a questo per ora.

Devi sapere che il mio primo lavoro è stato in un’azienda piuttosto famosa in Italia. Ho iniziato a lavorare per questa compagnia televisiva nazionale quando ancora facevo l’Università. Avevo solo 23 anni e non avevo mai pranzato in mensa insieme a dei colleghi di lavoro… Fino al mio primo giorno di tirocinio.

Quel giorno avevo scelto il pranzo piuttosto frettolosamente. Ero così nervosa per tutte le novità che stavo vivendo, che mi ero limitata a scegliere cibi semplici come pasta al pomodoro e – invece della frutta che è difficile da sbucciare – avevo optato per uno yogurt.

Finalmente, durante il pranzo, iniziavo a rilassarmi: ascoltavo i miei colleghi che raccontavano alcune divertenti vicende familiari e sorridevo sinceramente.

In quel momento aprii il vasetto di yogurt e, senza pensarci, leccai lo strato che rimane sempre attaccato alla pellicola protettiva, così come ero solita fare a casa mia. I miei genitori mi hanno insegnato, infatti, a non sprecare il cibo. Mai.

Per un momento tutto si fermò. La mia capa, seduta di fronte a me, sgranò gli occhi e per un tempo che a me sembrò interminabile smise di parlare. Io non capii subito cosa avesse suscitato quella reazione sconvolta, ma poi mi resi conto che forse tirare fuori la lingua “come un animale” durante un pranzo di lavoro in cui tutti vestivano piuttosto eleganti non fosse stata una mossa molto strategica per farmi accettare nell’ambiente.

Figuracce, brutte figure e figure di…

Avevo appena fatto una “figuraccia”, cioè mi ero resa ridicola agli occhi di un gruppo, perché non ne conoscevo ancora i codici. Sì, i codici, perché in tutti i gruppi esistono delle regole più o meno esplicite e, se non le conosci o se non le rispetti, i rischi sono di non essere accettato o accettata oppure di fare una “brutta figura”.

Se vogliamo usare un “francesismo” di dice… fare una figura di merda!

Gruppi culturali

Quando viaggiamo, il rischio di fare figuracce aumenta moltissimo proprio perché possiamo non conoscere i codici impliciti in un’altra cultura.

Ti faccio un esempio. Come forse saprai, ho vissuto per quasi un anno in Spagna, dove le persone si salutano sempre con due baci sulle guance. Per me all’inizio era un po’ strano: ero abituata a stringere la mano agli sconosciuti nel momento delle presentazioni… Darsi un bacio era un po’ troppo anche per noi italiani.

Gli spagnoli invece considerano la stretta di mano fin troppo fredda e formale, così alla fine mi sono abituata alle loro calorose consuetudini.

Ma c’è un problema. L’ordine dei baci è esattamente l’opposto di quello italiano. Non chiedermi se è prima destra e poi sinistra o viceversa…Non lo so. É qualcosa di talmente radicato nella cultura che viene naturale e non si riesce proprio a cambiare. In quella confusione di baci non so dirti quante volte ho centrato la bocca di sconosciuti e sconosciute senza volerlo.

Anche la lingua, intendo il linguaggio, può essere fonte di figuracce o perlomeno di episodi buffi.

L’altro giorno me ne è capitato uno: stavo facendo lezione con Olivia, una mia studentessa dagli Stati Uniti e, non so come, siamo finite a parlare delle convenzioni legate al matrimonio. A un certo punto lei mi ha detto: “Se si vuole sposare, l’uomo deve sempre regalare un agnello alla donna”.

Ti giuro che avevo le lacrime agli occhi dal ridere! E quando ha capito il suo errore… Anche Olivia 😉

E tu hai capito cosa è successo? Ti lascio la soluzione nel vocabolario qui sotto 👇🏻

PS. Voglio ringraziare Philippa per avermi dato l’idea di scrivere questa lettera sul tema delle figuracce.

Vocabolario


pranzare = to have lunch
la mensa = the canteen
il tirocinio = the stage, the internship
frettolosamente = hastily
sbucciare = to peel
la vicenda, le vicende = the fact(s), storie(s)
leccai (passato remoto) > leccare = to lick
la pellicola = the protective film (aluminium)
ero solita fare = I used to do
non sprecare = not to waste
sgranare gli occhi = eyes widening
smise (passato remoto) > smettere = to stop (to do something)
suscitare = to arouse
una reazione sconvolta = a shocking reaction
una mossa = a move


una figuraccia = una brutta figura = una figura di merda = a bad impression (literally “shity”, make a show of themselves
agli occhi = “to the eyes” (towards someone)


aumentare= to increase
le guance = cheeks
stringere la mano = to shake hands
le consuetudini = customs, habits
calorosa, calorose = warmy
centrare = to center, to hit
perlomeno = at least
buffo, buffi = funny
le convenzioni = conventions, agreements
legato a = linked to, related to


UN AGNELLO= A LAMB
(UN ANELLO= A RING)

avere le lacrime agli occhi = to cry
(dal ridere = because of fun)


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Le canzoni che (ci) fanno bene

The story of a new pandemic habit and powerful songs…


Le canzoni che (ci) fanno bene

Da quando è cominciata la seconda ondata e le limitazioni impediscono di viaggiare, ho iniziato una nuova abitudine. Tutte le domeniche mattina faccio una passeggiata nei campi dietro casa, con la nebbia o con il sole. Mi ritrovo insieme a un gruppetto di amici e familiari (piccolo, giuro) davanti al cosiddetto “baracchino del latte” (si tratta di un distributore automatico di prodotti caseari freschi, venduti direttamente dal produttore al consumatore).

Stamattina eravamo in cinque: io, Massimo, mio padre e due amiche. L’obiettivo comune è quello di fare attività fisica, ma in realtà ci riuniamo anche perché è bello stare un po’ in compagnia in questo periodo di isolamento forzato. Approfittiamo di un’oretta insieme per aggiornarci su come stanno andando le nostre vite e per scambiarci qualche consiglio, idea o anche solo un pensiero positivo.

Mentre Massimo, Martina e Sabrina chiacchieravano, io ho raccontato a mio padre una decisione difficile che ho preso riguardo al mio lavoro. La prima cosa che lui mi ha detto, dopo avermi ascoltata, è “io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”.

Quella frase mi è sembrata perfetta, anche se a te probabilmente non dice niente. Si tratta infatti della citazione di una canzone italiana cantata da Fabrizio De André, in cui il cantante racconta della fine di una relazione amorosa. Non ti racconterò i dettagli della fine della relazione lavorativa tra me e una certa azienda, ma posso assicurarti che è andata esattamente così.

Questo episodio mi riporta al tema di oggi: le canzoni. In particolare vorrei parlarti del potere che hanno le canzoni, anche se forse non ci pensiamo spesso. Io non sono certo un’esperta di musica, ma la musica mi piace molto. Mi piacciono soprattutto le canzoni italiane, quelle che sono come delle poesie cantate, perché il testo è scritto dallo stesso cantante. In italiano si chiamano cantautori. I miei cantautori italiani preferiti sono Fabrizio De André, Lucio Dalla, Franco Battiato, Max Gazzè, Cesare Cremonini, Antonello Venditti, Davide Van De Sfroos… Solo per citarne alcuni.

Ascoltare le loro canzoni, è come viaggiare in Italia. Con Lucio Dalla e Cesare Cremonini mi ritrovo subito a Bologna, la mia città italiana preferita. Con De André eccomi nei caruggi di Genova e con Venditti sono subito a Roma, sotto le stelle di una notte d’estate. E poi, mentre Davide Van de Sfroos canta di barche che navigano sul Lago di Como, mi sembra di essere lì.

Ma le canzoni mi aiutano anche a superare momenti difficili e a darmi la forza per prendere decisioni importanti. Nelle scorse settimane, mentre riflettevo su come risolvere un problema, ho ascoltato tutto il nuovo album di Bruce Springsteen (si chiama Letters to you), anche se non capivo proprio tutte le parole dei suoi testi. Non fa niente, la musica del Boss e della E-Street Band ha comunque sostenuto i miei pensieri.

Quando poi la decisione è stata presa, ho lasciato che fosse una canzone a dirmi “hai fatto bene”. Perché qualche volta, abbiamo bisogno di una voce nelle orecchie che continui a cantare finché non siamo noi a dirle: basta, va bene così. Ci risentiamo tra un po’.
PS. Dato che parliamo di canzoni, oggi te ne consiglio quattro, tutte italiane. Le trovi nella playlist di Spotify che ho creato per te. Oppure su YouTube:

1. Anna e Marco – Lucio Dalla
2. E ti vengo a cercare – Franco Battiato
3. Il Pescatore – Fabrizio De André
4. Lo Sciamano – Davide Van De Sfroos

Vocabolario


fare bene = “to make good” = to make feel good

farci bene = fare bene a noi = make us feel good

impediscono = they prevent
nei campi = in the fields
giuro = I swear, I assure
prodotti caseari freschi = fresh dairy products
dal produttore al consumatore = from farm to fork
Approfittiamo di = we take advantage / we make use of
un’oretta = above one hour
aggiornarci = to update / to catch up us
prendere una decisione = make a decision
a te non dice niente = it means nothing to you
una citazione = a quote
è andata così = it ended up like so
mi riporta = it brings me to
le canzoni = songs
stesso = himself
i cantautori = the song writers
caruggi = narrow streets, typical in the town of Genoa
riflettevo = I was thinking
proprio = exactly
finché = until
Dato che = As, Because


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I vestiti che indossiamo

Oggi voglio parlarti di un tema leggero, perché penso che in questo periodo ne abbiamo proprio bisogno… Di leggerezza. Parliamo quindi di vestiti!


I vestiti che indossiamo

Parliamo quindi di vestiti. Con questa parola, vestiti, in italiano si intende in generale la categoria “abbigliamento”. Un vestito non è solo quello lungo o corto che indossiamo noi donne quando vogliamo essere eleganti, ma può anche essere quello maschile, composto dalla giacca con i bottoni, dai pantaloni con la piega, dalla camicia e dalla cravatta. E non finisce qui. Nei vestiti ci stanno anche magliette, maglioni, tute, canottiere estive e impermeabili autunnali.

Gli italiani, si sa, sono famosi per i loro vestiti di qualità e sono famosi per il loro gusto. Insomma, per la moda italiana. Io ho sempre pensato di essere un’italiana anomala, perché a me non è mai fregato molto della moda.

Un giorno sono andata all’estero per un periodo abbastanza lungo e mi sono confrontata con ragazzi provenienti da culture diverse dalla mia. Alcuni di loro sceglievano cosa indossare semplicemente per una ragione pratica: volevano stare comodi e al caldo dato che era inverno, punto. Altri, si sforzavano di apparire classy oppure cool, ma secondo me facevano alcuni errori molto stupidi.

Ad esempio, tutti i bambini italiani imparano – volente o nolente – che non si accostano colori simili tra loro (come il rosa e il rosso) e che non si mettono vicini ad esempio il verde scuro e il verde chiaro (a meno che non si tratti di diverse tonalità dello stesso colore, che in questo caso si chiama “effetto tono-su-tono”). Oppure altre semplici regole sono “mai abbinare due fantasie diverse” o “mai superare il numero di 2 (massimo 3) colori nello stesso outfit”.

Senza che me ne fossi mai accorta, insomma, davo in realtà una certa importanza all’abbigliamento, soprattutto nel soppesare le nuove persone che conoscevo:

  • “Con quel maglione Elise avrà freddo, si vede che non è di buona fattura…”
  • “Ramzi dovrebbe proprio pulire le scarpe dal fango prima di uscire…”

Erano alcuni pensieri che mi passavano per la testa.

A proposito di scarpe, una mattina mi stavo preparando per andare a scuola e – prima di uscire dall’ostello – ho lucidato gli stivaletti di pelle che mi aveva comprato mia madre a Venezia.

This is so Italian.” mi ha detto la mia amica franco-tedesca Elise, molto molto divertita.

A me e a Elise piaceva molto passare i pomeriggi liberi nel quartiere ebraico di Cracovia, facendo shopping nei negozi di seconda mano. Io ne ero affascinata perché in Italia non avevo mai visto così tanti Second Hand Shops e pure con vestiti interessanti.

Un giorno, mentre curiosavo tra le grucce dove erano appesi vari capi di abbigliamento, Elise si è avvicinata e mi ha mostrato una maglietta che aveva appena scovato.

This is (so) you.” Mi ha detto. “This is yours“. E poi me l’ha regalata.

E tu? Dai importanza ai vestiti che indossiamo?

PS. Vorrei mostrarti la maglietta che mi ha regalato Elise, ma purtroppo l’ho messa in lavatrice (l’ho indossata questa settimana, in un giorno in cui ne avevo bisogno). Però se vuoi puoi vedere sul mio profilo Instagram la mia “maglietta della felicità”, quella che mi metto quando voglio far sapere al mondo che io la penso così. Si tratta di una maglietta con una scritta in inglese, che ho tradotto in italiano per te:

Le grandi cose hanno, spesso, piccoli inizi.

Vocabolario


i vestiti = the clothes
si intende = we mean
la piega = the fold
la cravatta = the tie
non finisce qui = this is not over
ci stanno = there are
la tuta, le tute = sweatshirt + sweatpants
la canottiera, le canottiere = the vest, the vests
di qualità = quality (adjective)
il gusto = the taste
anomala = unusual
non me ne frega (molto/niente) = I don’t care about
estero = abroad
al caldo = warm
punto = that’s all.
volente o nolente = like it or not
accostare = mettere vicino = abbinare = to match/to combine
fantasia = texture
accorgersi = to realize
soppesare = to ponder, to weigh up
di buona fattura = good quality
A proposito di = Speaking of
lucidare = to polish
fare shopping = to go buying clothes
la gruccia, le grucce = the hanger, the hangers
appendere = to hang
scovare = scoprire = to discover


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I lavori che gli italiani non vogliono fare

There are many old and new jobs that Italians don’t want to do. In this episode I tell you what I see every day around me, while living in a small city in the North of Italy. In the end, there are little but hopeful news about the riders…


Operai e fattorini (non) italiani

Sadik e Onyeka sono due ragazzi africani che vivono in Italia da alcuni anni. Li ho conosciuti poche settimane fa, quando ho iniziato a insegnare loro italiano nell’azienda in cui lavorano come operai.

Fanno un lavoro molto duro e, mentre io sistemo le sedie di plastica e accendo la stufetta, loro mi raggiungono nell’aula improvvisata sul soppalco di un capannone dell’azienda. Per due ore, con ancora addosso le tute da lavoro sporche di grasso, i due giovani smettono di fare fatica fisica e cominciano quella mentale, perché per loro scrivere una parola in una lingua straniera come l’italiano è come scalare una montagna. Nessuno ha mai insegnato loro come si fa, a scrivere.

L’altro giorno ho fatto loro la domanda più stupida che potessi fare.

  • Preferite studiare o lavorare?
    La risposta che mi ha dato Sadik mi ha spiazzata.
  • Io piace lavorare perché mandare soldi famiglia. No tempo studiare.
    Ma, inaspettatamente per me, non si è fermato lì. Ha proseguito.
  • Studiare bello perché se studiare lavoro in banca e in banca caldo. Qui freddo e sempre lavorare. Con pioggia, vento, sempre.

Quando prendo la macchina per ritornare a casa, al caldo della mia casa dove svolgo il resto del mio lavoro, noto tanti volti scuri, sotto la mascherina. Perché negli ultimi anni, in Italia, l’operaio è sempre più un lavoro da immigrati.

Un’altra nuova categoria di lavoratori che prima non esisteva è quella dei cosiddetti “riders” o, per dirlo in italiano, i fattorini contemporanei: quelli che, specialmente durante la pandemia, ci consegnano il cibo a casa a bordo delle loro biciclette o dei loro monopattini elettrici. Anche in questo caso, ho notato che ci sono ben pochi italiani a svolgere tale lavoro. Fa eccezione solo qualche studente universitario che vuole “arrotondare” la paghetta dei genitori prima di iniziare una carriera dopo la laurea.

Dopo aver letto diverse notizie riguardo alle numerose proteste che hanno animato le piazze italiane in questi ultimi mesi (puoi immaginare che, oltre a essere un lavoro faticoso, quello dei riders è anche un lavoro molto rischioso quando Covid-19 è ancora in circolo), beh… Mi sono informata.

Ho quindi scoperto che chi lavora per le multinazionali delle consegne a domicilio come JustEat, Uber Eats, Deliveroo, Glovo eccetera… viene pagato “a cottimo”. Questo significa che non riceve uno stipendio fisso mensile, ma un pagamento in base al numero di consegne effettuate.

Ma prenotare le consegne con è così semplice per loro: bisogna fare una gara di velocità contro gli altri riders e bisogna contemporaneamente tenere alta la qualità del servizio per cercare di guadagnarsi una valutazione positiva da parte dei clienti: insomma, più stelline = più lavoro in futuro.

Cosa ordinano gli italiani a domicilio?

Lo so che stai pensando che noi italiani amiamo cucinare in casa, fare la pasta ripiena, la pizza e tutti quegli altri fantastici piatti che si vedono nei video di YouTube. Beh, questo è vero, ma è vero anche che possiamo essere molto pigri, specialmente la sera, dopo una lunga giornata di lavoro.

Ecco allora che ci viene voglia di “giappo” e ordiniamo del sushi nel nostro ristorante giapponese preferito (il fatto che in realtà sia cinese, poco importa); oppure, nel fine settimana, ordiniamo la tipica pizza italiana rotonda e sottile, quella che in casa non riusciamo proprio a fare.

Pensa che ho delle amiche che ordinano persino una piadina, qualche volta. Non sai che cos’è una piadina? Ti metto qui una foto, così puoi capire anche tu che non è niente di particolarmente difficile da cucinare (PS. Questo in realtà è un “crescione”, ma l’impasto è lo stesso).

Questa tendenza a ordinare cibo da casa è stata amplificata dalla pandemia, come ho già detto. Succede allora che molti ristoranti italiani propongano interi menù da gustare direttamente a casa, completi di vino, dolce e persino di un cocktail come aperitivo.

Io non lo so come funziona nel tuo Paese, ma posso darti una buona notizia che viene dall’Italia: JustEat Italia ha annunciato che a partire dal 2021 metterà a contratto tutti i suoi riders che, oltre ad avere tutti i diritti dei lavoratori subordinati, finalmente verranno pagati a ora.

Ps. Da oggi anche qui in Emilia Romagna siamo diventati “zona arancione”. Questo significa che tutti i ristoranti sono chiusi. Speriamo che le consegne a domicilio aiutino a sostenere le attività commerciali di baristi, camerieri e ristoratori, in un modo sempre più GIUSTO.

Vocabolario


insegnare = to teach

azienda = company

operai = workers

io sistemo = I put in order

la stufetta = the small stove

mi raggiungono = they come after me

improvvisata = improvised

soppalco = mezzanine

un capannone = a warehouse

addosso = on the body

smettono di = they stop to

la macchina = the car

la mascherina = the face mask

i fattorini = riders

monopattini elettrici = electric schooters

svolgere = to do

“arrotondare” = to round up

la paghetta = pocket money

consegne a domicilio = deliveries

uno stipendio = a salary

una gara = a competition

pigri = lazy

da gustare = to taste

GIUSTO = RIGHT


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L’autunno colorato della piccola città

During the pandemic Italy has been divided into “coloured” zones: yellow, orange and red. In Autumn 2020 the region I live in, Emilia Romagna, was “yellow” most of the time. I tell you what this means in the following episode…


Le zone colorate d’Italia

Questa settimana sono successe molte cose, tutte piuttosto straordinarie. Tanto per cominciare, gli Stati Uniti hanno eletto il loro quarantaseiesimo (46°) Presidente e questa notizia basterebbe a riempire i giornali di tutto il mondo, se ci trovassimo in una situazione ordinaria. Ma noi non ci troviamo in una situazione ordinaria.

Purtroppo non c’è niente di ordinario in una pandemia globale, che porta ciascun Paese e ciascuna piccola città a fare i conti con problemi importanti: come contenere il contagio? Come sostenere le aziende? Come mantenere calme le persone?

Per esempio, il nostro presidente Conte ha scelto di dividere l’Italia in zone colorate. In base alla gravità della situazione per Covid, le regioni italiane sono state così classificate: ci sono quelle gialle, quelle arancioni e quelle rosse.

I cambiamenti in città durante la pandemia

Piacenza, che è in Emilia Romagna, si trova in zona gialla. Questo significa che siamo tra quelli “messi meglio”, cioè che il nostro sistema sanitario riesce ancora a gestire l’emergenza… Per ora. Sebbene questa divisione durerà fino al 3 dicembre, non è detto che rimanga stabile: la classificazione può sempre cambiare.

Ma cosa vuole dire davvero essere in zona gialla? Beh, la verità è che sono molto fortunata. Posso ancora spostarmi liberamente in città, non solo per andare a lavorare, ma anche per fare due passi. Devo solo rientrare in casa entro le 22, perché da quell’ora inizia il coprifuoco. Inoltre, non posso fare molta vita sociale: dopo le 18 tutti i ristoranti e i bar sono chiusi, tranne che per l’asporto.

In questa situazione difficile, dove tutti ci sentiamo un po’ più soli, sto osservando con più attenzione ciò che cambia intorno a me. Ieri, per esempio, mi sono imbattuta in due cartelloni pubblicitari. Uno di loro diceva:

Cartellone pubblicitario in una strada di Piacenza

Devi sapere che il monopattino elettrico è una conseguenza della pandemia, perché le persone non vogliono più prendere i mezzi pubblici e preferiscono utilizzare mezzi privati. Inoltre, proprio all’inizio della settimana, sono stati erogati duecentoquindici (215) milioni di euro per dei “bonus bicicletta”: le persone che in questo periodo hanno acquistato una bici o un monopattino elettrico, sono state rimborsate!

Io non ho usufruito di questo bonus, perché ho già una bicicletta che uso quotidianamente. Infatti, in una città piccola come la mia è molto facile spostarsi in bici o a piedi e si può raggiungere velocemente la campagna con la macchina.

Ieri, ad esempio, sono andata in un paesino che si chiama Travo per aiutare Massimo a dipingere una stanza della sua casa di famiglia. Mentre viaggiavamo mi sono fermata a scattare una foto ai colori dell’autunno.

Mi sono accorta che questo autunno è colorato con gli stessi colori di questa nuova Italia colorata.

Vocabolario

basterebbe = it would be enough
se ci trovassimo = if we were
ciascun, ciascuna = each
fare i conti con = to have to deal with
gravità = seriousness

siamo “messi meglio” = we are ok (on avarage)
gestire = to manage
Per ora = until now
fortunata = lucky
spostarmi = to move
fare due passi = to go for a walk
rientrare = to come back
entro = within
il coprifuoco = the curfew
l’asporto = to take away
ciò = what
mi sono imbattuta = I came across
cartelloni pubblicitari = billboards

il monopattino elettfrico = the electric scooter
sono stati erogati = have been provided
sono state rimborsate = they received a refund
non ho usufruito = I didn’t benefit
la macchina = the car (colloquial)
dipingere = to paint
scattare una foto = to take a picture



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Una gita al cimitero

Have you ever taken a trip to the cemetery? Well, in Italy this is pretty common during the last days of October and first days of November.

Il 31 ottobre in Italia non si festeggia Halloween. Certo, quando non c’era la pandemia venivano organizzate alcune feste, sia in casa sia in luoghi pubblici; ma ora che ci sono le restrizioni per contenere la diffusione di Covid-19, nessuno sente particolarmente la mancanza di Halloween.

Invece, ciò di cui tutti sembrano preoccuparsi è… il giro al cimitero. Nei giorni del 31 ottobre, del 1° novembre (festa religiosa di “Ognissanti” o semplicemente “i santi”) e del 2 novembre (il giorno dei morti) i cimiteri di tutta Italia sono piuttosto affollati. E non importa se là fuori c’è una pandemia in corso, il giro al cimitero insieme alla famiglia è d’obbligo.

I più giovani, qualche volta, riescono a trovare la scusa del viaggio per una fuga dal macabro impegno. Capita, infatti, che il calendario ci regali un “ponte”: quando un giorno feriale cade tra due giorni festivi e molte aziende decidono di chiudere.
“Cosa fai per i morti?” era una domanda molto frequente, quando si poteva viaggiare.

Quest’anno, purtroppo, casca male. Nessun ponte: il giorno di Ognissanti cade di domenica e il giorno dei morti di lunedì.

E così, ecco che anch’io ho trascorso la mattinata di sabato a far visita ai cari defunti, aiutando mia madre a tagliare i gambi dei fiori che mio padre era stato incaricato di comprare.

Mentre camminavo, ho sentito molti discorsi provenire da diverse signore indaffarate sulle tombe o nelle cappelle di famiglia.
Parlavano del desiderio di farsi seppellire, piuttosto che cremare. Discutevano su quale fosse il migliore fioraio della città per acquistare i crisantemi (tipico fiore destinato ai morti, qui in Italia). Si scandalizzavano se “quelli della tomba vicina” non erano ancora venuti a pulirla o non la pulivano da anni.

Insomma, parlavano di tante questioni importanti, così importanti da dimenticarsi di Covid.

L’ultima nostra visita è stata alla mia amica Eli, che guarda tutti con i suoi begli occhi brillanti.
“Hai visto? Certe cose non cambiano mai!” le ho detto. Lei ora non può rispondere, ma sono quasi certa di aver sentito una risata provenire dalla sua lapide.

Ascolta la storia

Vocabolario

sia, sia = both and
la diffusione = the spread
la mancanza = the lack
il giro al cimitero = the tour of the cemetery
piuttosto affollati = pretty crowded
in corso = in progress
una fuga = an escape
Capita = It happens
giorno feriale = weekday
giorni festivi = holidays
“casca male” (expression) = it’s not lucky
“ecco” (expression) = here I am
i gambi (or “gli steli”) = stems
era stato incaricato di = he had been in charge of
indaffarate = busy
seppellire = to bury
cremare = to cremate
crisantemi = mums (flowers)
si scandalizzavano di/se = they took offence at/if
lapide = tombstone

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