Incipit: “L. e L. non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.”
Quello che leggi sopra è l’inizio delle storie che i partecipanti al contest di scrittura 2022 hanno scritto, lavorando con la loro insegnante per tutto il mese di settembre 2022. Le loro storie sono pubblicate qui sotto. Anche tu puoi votare la tua preferita con un commento (c’è tempo fino a domenica 23 ottobre 2022)!
Come si vota
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- Attenzione: gli autori non hanno tutti lo stesso livello di italiano. Alcuni sono principianti, altri più esperti. Per favore concentrati sull’originalità dell’idea e sulle emozioni che ti suscita.
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Aggiornamento
- Il contest si è concluso in data 24.10.2022 e i commenti sono stati chiusi
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- I titoli delle storie sono stai aggiornati con i nomi degli autori, secondo le loro preferenze
Le storie dei partecipanti al contest di scrittura
Le avventure dei due amici blu
Le fuggitive di Starbucks
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Un incontro imprevisto di Gill
Luigi e Livia non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altra.
Fuori era buio e pioveva a dirotto, ma dentro il treno della metropolitana, nonostante fosse affollato, almeno era asciutto e caldo. Luigi si agitava nel suo posto, cercava di mettersi comodo. Per fortuna quella sera era seduto, anche se alla sua destra c’era un uomo che leggeva un quotidiano (uno grande che aveva bisogno di spazio per sfogliare le pagine e che occupava anche lo spazio che Luigi considerava di essere il suo) e alla sinistra c’era una donna dagli occhi stanchi che aveva così tante borse in grembo che ogni tanto una scivolava e si appoggiava su di lui.
Luigi sentiva gli occhi diventare pesanti e la stanchezza crescere e, cullato dal movimento del treno, quasi si addormentò quando, all’improvviso, con uno stridio di freni, il treno si fermò, le luci si spensero e una cappa di silenzio avvolse il vagone prima che fosse rotto dalle voci dei pendolari.
“Ma, che cazz…?”,
“Noo, non stasera! Sarò nei guai! Ho promesso di tornare a casa presto…”.
Nel buio, Luigi si accorse di un movimento vicino, era la donna al suo fianco che provava a raccogliere il contenuto delle sue borse che erano cadute per terra a causa della fermata imprevista.
“Posso esserle utile?”
“Sì, per favore, ho perso i regali per i miei nipoti. Avevo promesso a mia sorella che li avrei comprati e non posso permettermi di comprarne altri anche se avessi tempo di farlo.”
Desideroso di aiutarla, Luigi si inginocchiò e combatté contro i piedi degli altri passeggeri per trovare i giocattoli, riuscì finalmente a tornare trionfalmente con il suo tesoro e con la ferita di battaglia che non era altro che una mano pestata sotto una scarpa. La donna, adesso sollevata, si rilassò un po’ e mentre aspettavano che il treno riprendesse il suo viaggio, passarono il tempo a chiacchierare tra loro. A Luigi di solito non piaceva parlare della sua vita personale, ma parlare con una sconosciuta… quanto era facile raccontarle di come aveva traslocato a Londra per lavoro e di come, nonostante quanto interessante e affascinante trovasse quel lavoro, la vita al di fuori non andasse così bene!
Dopo una trentina di minuti, le luci si accesero, e lentamente, rumorosamente, come se richiedesse un gran sforzo, il treno cominciò a muoversi di nuovo. La prossima fermata era quella della donna e anche per caso quella di Luigi, che quando se ne rese conto, si offrì di aiutarla con le sue borse. Stavano chiacchierando come se fossero vecchi amici mentre uscivano dalla stazione, poi la donna salutò qualcuno che la stava aspettando. Era una donna dell’età di Luigi, con i capelli rossi e gli occhi ridenti, il cui sorriso le illuminava il viso.
“Luigi,” disse la donna dal treno, “lascia che ti presenti mi figlia, Livia.”
Il primo ballo di Caroline R. dagli Stati Uniti
Carolina e Pasquale non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
Carolina è venuta al matrimonio da sola, la sua amica Erika, con cui lei ha studiato in Italia molti anni prima, era la sposa. Le ragazze non si sono viste per molto tempo, ma Carolina ha voluto vedere la sua amica sposarsi. Quindi, Carolina non conosceva molte persone al matrimonio. Il matrimonio era sulle colline del Vermont, un posto bellissimo, ma un po’ solitario per Carolina.
Dopo la cerimonia e la cena, il gruppo ha cominciato a suonare. Carolina era seduta da sola quando uno straniero le ha chiesto di ballare.
Carolina lo ha seguito sulla pista da ballo e rapidamente ha realizzato che lui non era un buon ballerino. Fortunatamente, lei ha notato qualcun altro che si stava muovendo a ritmo di musica guardando verso di lei. Lei lo ricordava dai discorsi, lui era il testimone, si chiamava Pasquale. Loro si sorrisero l’un l’altro dall’altra parte della pista da ballo. Quando la canzone è finita, lo straniero ha continuato a tenere la mano di Carolina, ma il testimone stava già camminando verso di lei. Carolina ha lasciato la mano dello straniero, e senza parole, Pasquale l’ha presa.
Loro hanno ballato insieme per tutta la notte, e ancora dopo che la festa era finita. Pasquale e Carolina non hanno dormito niente, loro hanno passeggiato sulle colline e hanno fatto un fuoco vicino al quale si sono seduti e hanno parlato per tutta la notte. Hanno imparato che abitavano lontani l’uno dall’altra circa quattro ore in macchina. Inoltre, Carolina stava progettando di partire per un viaggio per i prossimi mesi. Nonostante le circostanze, sapevano che avrebbero trovato un modo per incontrarsi di nuovo.
All’alba, con la magia della notte insieme nelle loro menti, hanno cercato per un posto per dormire per un po’. Molti degli ospiti si erano accampati in tende. Presumendo che ogni tenda fosse già occupata, Carolina e Pasquale hanno guardato attentamente in ciascuna. Carolina era sicura che non avrebbero avuto fortuna, ma Pasquale insisteva che avrebbero trovato un posto. Arrivando all’ultima tenda, hanno scoperto che era in realtà vuota! Si stesero a riposare mentre il sole sorgeva quieto sulle colline. Presto si sarebbero risvegliati al resto della loro vita e avrebbero trovato un modo per stare insieme.
Il suo primo incontro di John Shortall dall’Inghilterra
L. e L. non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
“Una retta è la distanza più breve tra due punti. Chi l’ha detto?” mormorò Leonora, fissando cupamente attraverso il finestrino del treno regionale che andava da Firenze a Roma. “Perché esiste una stazione chiamata Montepulciano se non è lì che il treno arriva?”.
Doveva arrivare a Montepulciano oggi, di domenica, per non essere in ritardo per la scuola di musica che si tiene ogni estate per giovani studenti tedeschi di talento. Ma tutto quello che riusciva a pensare, ora, era quando il suo treno sarebbe arrivato a Chiusi. Da lì, ci sarebbe stato ancora un viaggio in autobus.
“Permesso?” disse una voce maschile dietro di lei, chiara e sicura di sé. Qualcuno stava cercando di entrare nella carrozza, ma Leonora non riuscì a voltarsi perché i fili delle sue cuffie si erano impigliati al sedile. Per qualche motivo Leonora iniziò a respirare più velocemente, sentendo un momento di panico in arrivo. Ridicolo! Comportarsi come una bambina nervosa quando aveva quasi 18 anni!
“Mi dispiace davvero disturbarti, ma…” Una piccola risata. “Non posso passare”.
Leonora vide che il suo violoncello era scivolato in mezzo al corridoio e stava bloccando completamente il passaggio.
“Per favore, signorina, mi permetta” disse l’uomo, mentre afferrava il manico della custodia dello strumento e lo spostava sui sedili dall’altra parte del corridoio. Tutto ciò che Leonora poteva vedere era la sua schiena. Poi l’uomo si girò sorridendo. Un giovane, a prima vista. Capelli scuri, un viso abbronzato e occhi azzurri incredibilmente vividi. Ma qualcosa in lui tradiva una certa maturità.
“Meglio qui, signorina. Vero?” disse, mentre Leonora meditava sul suo uso della parola “signorina”. Non le piaceva.
“Grazie…grazie mille…
“Di niente” la interruppe. “Se mi siedo qui posso tenerlo d’occhio” aggiunse, sedendosi di fronte a Leonora.
Leonora non sapeva cosa dire. C’erano molti altri posti liberi, perché si era seduto proprio lì? Si guardò intorno, la carrozza era vuota. Guardò di nuovo attraverso il finestrino, la luce stava ormai iniziando a svanire. Leonora prese una rivista, fece finta di leggerla. Ogni volta che guardava l’uomo, temeva che lui avrebbe alzato lo sguardo e incontrato i suoi occhi nello stesso momento. Decise di rimanere tranquilla e di prendere nota di ciò che poteva vedere. Era vestito in modo casual ma ‘trendy’: pantaloni bianchi, una giacca da baseball in stile americano e una maglia con un logo universitario. Tutto era molto pulito e in ordine. L’uomo sorrideva, ma era un sorriso che non si estendeva ai suoi occhi, che erano freddi e ora saldamente fissi su Leonora.
“Sei una studentessa di musica?”
“Sì.”
“So qualcosa di musica. Stai andando a Montepulciano per il workshop?”
“Sì… Sì… Io…”
“Da quanto tempo studi il violoncello, Leonora?”
Lei rimase senza fiato. “Come fai a sapere il mio nome?
“È sull’etichetta della tua custodia.” Sorrise. Lei lo fissò sospettosa.
Dopo quella che sembrava un’eternità, il treno rallentò fino a fermarsi.
“Eccoci a Chiusi. Anche io scendo qui.” disse l’uomo.
La aiutò a scendere, e Leonora gli rivolse un rapido “grazie e arrivederci” lasciando il binario. Ma presto si rese conto che la stazione era deserta.
L’uomo – non sapeva ancora il suo nome – era dietro di lei.
“Nessun autobus per Montepulciano di domenica, purtroppo” Fece una pausa. “Vado anch’io al workshop, sarò il tuo insegnante di composizione, mi chiamo Luigi Arragone.”
Leonora era molto stupita. Solo ora glielo diceva?
Lui continuò “Si sta facendo notte, posso darti un passaggio. La mia macchina è proprio qui” e si avviò bruscamente.
Molte volte nel futuro Leonora immaginò quanto sarebbe stata diversa la sua vita se non lo avesse seguito.
Un’esperienza scioccante di Wendelyn Piquette dagli Stati Uniti
Luigi e Leonardo non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
Era una notte buia e tempestosa. Leonardo da Vinci smise di dipingere il murale della chiesa per mancanza di luce. Ritornò a un’altra sua invenzione: una macchina del tempo le cui parti erano già a posto, mancava solo come alimentarla. Purtroppo non poteva utilizzare i cavalli perché non sarebbero stati abbastanza veloci…
Quasi trecento anni dopo, un altro scienziato, di nome Luigi Galvani, stava sperimentando con sua moglie Lucia gli effetti dell’elettricità sugli animali: rane per l’esattezza. “Succederà la stessa cosa sui corpi umani?” si chiedevano.
Decisero quindi di provare ad applicare una scarica elettrica ad un cadavere che Luigi e i suoi assistenti avevano dissotterrato dalla tomba.
Boom!
“È una tempesta fortissima!” pensò Luigi. Verificò che le sue bottiglie di Leida tenessero la carica e raccolse gli elettrodi per dare la scossa al cadavere.
Boom!
Un gigantesco fulmine colpì gli elettrodi mentre li stava tenendo: una scarica fortissima lo gettò a terra!
In un’altra dimensione spazio-temporale, Leonardo stava toccando la macchina del tempo.
Boom!
Una scossa forte lo stese.
Luigi aveva un enorme mal di testa. Si ritrovò davanti al murale di Leonardo. Si chiese: “Ma dove mi trovo?! Sto sognando? Forse ho colpito la testa troppo forte!”.
Anche Leonardo aveva un bernoccolo in testa e le orecchie gli fischiavano. Peggio, un odoraccio proveniva dal tavolo. Vide il cadavere— “Oh mio Dio!” Fece il segno della croce.
“Luigi, stai bene? Il fulmine ti ha colpito!” una donna di mezza età gli corse incontro.
“Signora, chi è Lei? Non mi chiamo Luigi!!” scattò all’indietro Leonardo.
“Ma come?! Ma sono io, Lucia! Non mi riconosci?!”
Tre secoli prima, Luigi si ritrovava invece nel corpo di Leonardo. Incuriosito, esaminò la stanza con occhio indagatore.
“Questo posto è bello e pieno di ispirazioni. Cosa sto facendo io con la mia vita? Il mio lavoro è terribile!” pensò Luigi invidioso della bellezza in cui viveva Leonardo.
Nel futuro, Leonardo stava lottando con la nuova realtà. Non era nel suo corpo, nella sua chiesa, neanche nella sua città e una strana donna continuava a chiamarlo con un altro nome. E quel posto, con il cadavere… “Dio salvami, per piacere!”
La tempesta fuori continuava, più forte che mai.
“Che bravata è mai questa? Perché questo cadavere è qui sul tavolo?” chiese.
Sorpresa, Lucia rispose: “Ma come?! Era tua l’idea di trovare l’elettricità negli umani!”
Leonardo era sbalordito. “Io?! Non è possibile! Lascia riposare in pace i morti!”. Però, incuriosito dall’esperimento, iniziò a interrogare Lucia la quale rispose a tutte le sue domande.
Nel tempo di Leonardo, Luigi stava male da quanto gli mancava Lucia! Forse sarebbe riuscito a sopravvivere in un altro tempo e in un altro corpo, ma come avrebbe fatto senza di lei? ‘Se mai tornerò a casa, non lavorerò più con i cadaveri e tornerò al mio lavoro con le rane!’ si ripromise.
Kraaak!
Un lampo illuminò tutto e Luigi fu catapultato attraverso la stanza e il tempo.
Intanto, nel futuro, Leonardo, oramai entusiasta dell’esperimento, stava raccogliendo gli elettrodi quando…
Boom!
Leonardo fu buttato a terra! Aprì gli occhi, intontito: era a casa!
Anche Luigi aprì gli occhi: Lucia era lì davanti a lui. La tirò a sé e la baciò. “Non abbandonarmi mai! La tua mancanza mi ucciderebbe! Gettiamo questo cadavere, torniamo alle rane!” esclamò Luigi. Lucia sorrise felice.
Nel passato, Leonardo si guardò intorno. Era tornato nella sua chiesa. Quella macchina del tempo era maledetta! Con molta cura, la smontò e ne distrusse tutti i disegni. Finalmente tranquillo, a casa, si mise a pensare e a bramare l’elettricità: l’idea che l’energia naturale potesse alimentare una macchina del tempo lo aveva galvanizzato!
Il potere di un’idea di Stefan Kszak dalla Svezia
Leo e Lee non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre del 1984, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro…
È un sabato pomeriggio di inizio settembre 2022, il sole è basso nel cielo sereno e azzurro: il tempo è davvero bello quest’autunno. “Posso ancora guidare la mia Lambo senza tettuccio. A settembre! In Svezia!” pensa tra sé e sé Leo.
Ci sono solo 16 gradi ma Leo è sudato, dopo l’allenamento; la vista è così bella che decide di fermare l’auto e godersi il panorama, con il sole che luccica tra le onde del lago Vetter. Gli piace molto questo posto, dall’alto la vista gli ricorda il lungomare dell’autostrada adriatica, in Italia, dove guidava soltanto un mese prima.
Ripensa al suo passato, ed è grato e felice per essere stato benedetto dalla vita, anche se ha dovuto lavorare duramente e prendere decisioni difficili.
Ha sempre saputo, infatti, che “ciò che non ti distrugge, ti rende più forte”.
Leo era nato in ottobre, nel 1970, a Cracovia, un’antica e bella città, fondata all’inizio dell’anno Mille. Purtroppo il regime comunista l’aveva trasformata in una città grigia e fatiscente, abitata da gente infelice, senza speranza negli occhi – così Leo ricorda la sua infanzia. Era cresciuto in un sobborgo della città, dove suo padre aveva un’officina. Non aveva più i nonni: quelli paterni uccisi dal regime comunista prima che lui nascesse, quelli materni morti anche loro, prima della sua nascita. Leo ricorda la sua gioventù come una vita divisa tra i sogni e la realtà crudele del comunismo.
La serie televisiva Miami Vice, con l’attore Don Johnson e la sua Lamborghini bianca rappresentava la vita libera e felice a cui aspirava.
Dall’altro lato la grigia realtà; il padre che lavorava duramente per riuscire a sfamare la famiglia; gli inaspettati controlli in casa della milizia comunista, per verificare la fedeltà al regime, solo perché il papà, imprenditore, non aveva mai voluto iscriversi al partito e questo bastava per essere considerato quasi un criminale.
A quel tempo Leo non aveva nient’altro che i suoi sogni, ma dentro di sé non si arrendeva. Frequentava la scuola, come gli altri, ma aspirava a realizzare qualcosa di grande valore nella vita. Guardava in TV i film dell’Ovest e sognava…
Finché, una sera di settembre, al cinema vide “il grande maestro”; era così forte, veloce come un gatto, ma allo stesso tempo calmo, dotato di un grande autocontrollo e tutto ciò che faceva era così importante e significativo! Fu improvvisamente colpito, come da un fulmine. L’impatto emozionale fu enorme.
Quella sera la vita di Leo cambiò; lui riguardò il film diciotto volte in quel mese e ogni volta desiderava essere sempre più simile a lui – Bruce Lee.
Così, deciso a diventare cintura nera ma soprattutto una persona di grande valore, visse solo per i suoi allenamenti e per raggiungere il suo obiettivo.
Dopo sei anni ottenne la sua prima cintura nera in taekwondo e successivamente ne ottenne altre
Lavorare su se stesso divenne la sua filosofia di vita. Bruce Lee aveva rappresentato un’idea, un simbolo, a cui Leo è tuttora fedele, che gli aveva dato il coraggio di fare passi avanti, uscire dalla zona di conforto. “Grandi cose hanno spesso piccoli inizi” pensa Leo, tra sé e sé, e il suo piccolo inizio era stato proprio il film, “Enter the dragon”.
In Svezia, che ora è la sua casa e dove vive la vita dei suoi sogni, Leo ha dato vita a due aziende. “Inspire people to fullfill their life”, il suo motto, oggi è diventato anche un lavoro: come Lee ha ispirato e motivato Leo a trovare il senso della vita, ora Leo fa lo stesso per gli altri.
È il tramonto e Leo riparte verso casa.
Le avventure dei due amici blu di James Elliott
Un piccolo cavallo e un maialino non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
Era una notte buia e tempestosa quando il contadino portò i due animali nella sua casa a Capri, in Italia; i due erano ancora molto piccoli e avevano tanta paura, ma si fecero coraggio a vicenda e fu così che diventarono anime gemelle. E i due animali erano blu, sì, davvero blu!
La casa del contadino era accanto ad uno stretto sentiero che correva tra muretti e scogliere a picco sul mare. Di tanto in tanto i due amici giocavano a bloccare il passaggio e si divertivano molto nel vedere le persone che si stupivano e spaventavano nel trovarseli davanti.
Un giorno d’estate, era il primo di luglio, una vecchietta arrivò sul sentiero. I due amici, che erano impulsivi e immaturi come adolescenti, decisero di bloccare il sentiero e fare paura alla vecchia donna. Ma la donna non si spaventò e disse: “Che cosa fate, stupidi animali? Non sapete che sono una strega buona? Pensate di essere così intelligenti e furbi?”. Allora la vecchia saltò sopra gli animali e fu lei, così, a bloccargli il cammino.
“Che pensate adesso?”
“Eh, ci dispiace molto per quello che abbiamo fatto”
“Io vi do una possibilità per redimervi: dovete andarvene dall’Italia”
Il maialino disse: “Forse la Francia va bene?”
“Ma mangiano i maialini in Francia!”
“Non vi consiglio la Francia”
“Considerate gli Stati Uniti, allora: negli Stati Uniti alla gente piacciono gli animali”
“Sì, d’accordo!”
“Bene è deciso”
“Ma, buona strega, cosa mangeremo e che lavoro faremo?”
“Non preoccupatevi. Ho pensato a tutto.”
“Ciao. Bon voyage”
*
All’aeroporto Dulles una voce disse “Dove sono gli amici blu?”
Un uomo rispose: “Eccoli là nelle gabbie”.
Una persona aprì le gabbie e mise i due amici sul camion. Dopo quarantacinque minuti circa, arrivarono a Mt. Vernon. Era il primo luglio e c’era un caldo afoso.
“Non siamo più a Capri!”
Qualcuno spiegò: “Questi sono la vostra nuova casa e il vostro nuovo lavoro. Voi siete gli animali da esposizione”.
“In bocca al lupo”.
“Crepi il lupo” – pensarono i due amici.
C’erano molti altri animali: capre, pecore, vacche, asini, oche, cavalli, maiali e persino un cammello. Ma neppure un cavallo o un maialino blu.
Qualche giorno dopo il loro arrivo, i due amici stavano dormendo nel loro recinto quando ci furono molte esplosioni e vampate di luce.
“È la fine del mondo”, strillarono i due.
“No, idioti, è il quattro luglio!” – rivelarono gli altri animali.
E così, piano piano, i due si abituarono alla loro nuova casa e al loro nuovo lavoro. Il clima sembrava quello di Capri, ma più umido. Poi venne l’autunno.
“Wow guarda che colori!” esclamò il maialino. “Niente di simile è mai accaduto a Capri.”
“Si è bellissimo, ma le sere sono un po’ fredde”, precisò il maialino.
“E ora che cosa succede? Guarda queste decorazioni strane: le streghe, gli scheletri, le mummie, le lanterne fatte di zucca con i visi strani”. Gli altri animali spiegarono che era Halloween e che i bambini avrebbero indossato strani costumi e domandato caramelle.
“Che cos’altro avverrà in autunno?”, domandarono i due amici.
“Allora… ci saranno le World Series”
“Che cosa sono?”
“Le finali della stagione del baseball. Cade sempre alla fine di ottobre e quest’anno giocheranno i Nationals, la squadra locale: è veramente eccitante, ci sarà molta confusione e forse i fuochi d’artificio.”
“E poi c’è il ‘Thanksgiving’, un giorno festivo in cui si sacrifica un animale e lo si mangia per ringraziare.”
“Quale animale? Maiale? Cavallo?”
“No, no: un tacchino!”
“Il tacchino non ha niente da ringraziare” sussurrò il maialino.
“Barbarico!” gridò il cavallo.
IL VINCITORE DEL CONTEST:
Le fuggitive di Starbucks di Zach dagli Stati Uniti
Ludovica e Lulu non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’una nella vita dell’altra.
Ludovica, sfinita, era da poco entrata nello Starbucks Riserva di Milano. Nonostante fosse ormai notte, il locale era ancora pieno di gente in quel caldo sabato di fine estate.
La donna prese il suo “frappuccino” e si sedette sull’ultima sedia libera nel grande Caffè. Mentre si guardava intorno con sospetto, dietro i suoi occhiali da sole, mise sul tavolo, bene in vista, il suo libro inglese “A Guide to Milan”. Fu in quel momento che sentì una voce tranquilla provenire dalla donna dietro di lei.
“So bene che non sei una turista”, affermò la donna.
“Ma tu chi sei?! E come fai a saperlo?” reagì Ludovica.
“Perché hai rabbrividito dopo aver bevuto il tuo frappuccino. Non sei un’americana convincente”, esclamò Lulu. “Sei una spia? Sei qui per arrestarmi?”
“Va bene, hai ragione, lo ammetto, sono italiana. Ma non sono una spia. Mi sto semplicemente nascondendo da alcune persone.”
“Anch’io”, confessò Lulu. “Dalla polizia”.
Ludovica si tolse gli occhiali da sole e guardò Lulu dritto negli occhi.
“Anch’io”.
Passarono due minuti prima che una delle donne proferisse un’altra parola. Fu Lulu a rompere il silenzio.
“Non volevo farlo”, raccontò Lulu, “ma non ho avuto scelta. È stato più forte di me.”
“Ma cosa hai fatto? Hai ucciso qualcuno?” chiese Ludovica.
“Dio mio no, no,” Lulu ribattè immediatamente. “Ma ho fatto di peggio: ho chiesto l’ananas sulla mia pizza.”
“Ma caspita!” urlò Ludovica e le sue mani gesticolarono selvaggiamente nell’aria.
“Shhh, shhh!” rispose Lulu. “Non parlare in italiano così ad alta voce! Si accorgerebbero tutti che ci stiamo nascondendo. Pensa che io sono rimasta dentro questo Starbucks per sei giorni e tu sei la prima italiana che ho visto!”
“Hai ragione, scusami. Ma l’ananas sulla pizza?! Non ci posso credere. Che schifo! E io che pensavo fosse brutto il mio crimine: ho ordinato un cappuccino dopo pranzo!”
Ma prima che Lulu potesse replicare, si udirono forti urla dall’ingresso di Starbucks.
“Polizia! Nessuno si muova! Mani in alto!” Le voci furiose di cinque poliziotti crearono il panico tra i tanti turisti di questo Starbucks italiano. Uno dei poliziotti, con in mano una lattina di ananas semivuota, saltò sul tavolo e iniziò a scrutare attentamente tutt’intorno, alla ricerca di italiani sospetti all’interno del locale.
Ludovica e Lulu si guardarono e nello stesso momento esclamarono: “Corriamo!” E da quel momento le vite delle due fuggitive di Starbucks sarebbero state per sempre indissolubilmente legate.
Lui e Lei di Margot Miller
Lui e Lei non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
Lui e Lei si incontrarono mentre, in fila, aspettavano di entrare alla scuola San Salvatore, per un incontro dei genitori con gli insegnanti. C’erano infatti misure eccezionali per l’ingresso nell’edificio a causa del Covid.
Lei notò che Lui aveva una macchia scura sul collo e gli disse “Scusi, ma sono un’infermiera e ho visto questa macchia sul suo collo. Dovrebbe farsi vedere da un medico”.
Lui la ringraziò attraverso la sua mascherina, trovando strano che un’infermiera non indossasse la mascherina a sua volta; poi entrarono a scuola.
Tre settimane più tardi Lui, dopo essere stato da un medico che gli aveva diagnosticato e rimosso un melanoma dal collo, domandò all’insegnante di suo figlio se conoscesse il nome della donna senza mascherina. Non sapeva nulla di lei tranne il fatto che fosse infermiera. L’insegnante tuttavia non seppe dirgli niente; non aveva nessun genitore che facesse l’infermiere.
Lui desiderava ringraziare la sconosciuta e sarebbe stato felice di invitarla a cena. Cercò allora maggiori informazioni sulla donna rivolgendosi al preside della scuola, ma neppure lui aveva conoscenza di genitori che fossero infermieri. “Inoltre” – disse il preside – “tutti portano la mascherina in questo periodo”.
Così Lui decise di osservare i genitori all’uscita da scuola in attesa dei loro figli, fino a quando non l’avesse vista.
Finalmente, un giorno in cui pioveva a dirotto – erano passate altre tre settimane – la vide, ancora senza mascherina. Sola, stava passando davanti a scuola in bicicletta, nonostante la forte pioggia. Lui la seguì in città, finché Lei lasciò la bici fuori da un bar. Lui parcheggiò ed entrò.
Nessuna donna.
Chiese al barista dove fosse la donna appena entrata.
Il barista scrollò le spalle. “Nessuna donna oggi. Non siamo nemmeno aperti!”.
“Ma l’ho vista entrare!”
Il barman scrollò nuovamente le spalle. “Non c’è nessun cliente donna. Sono solo qui, a parte il cuoco, che è un uomo”.
Allora il poveretto uscì. Era confuso.
Non pioveva più ed accanto alla sua macchina vide la figura di una donna. Lei!
Ma quando arrivò vicino all’auto Lei non c’era più. Non solo perplesso ma anche arrabbiato, tornò a casa.
Nella notte sognò l’infermiera che non esisteva. La presenza di Lei sembrava circondarlo. Sentì la sua voce che lo rassicurava: “Stai bene, adesso”. Si svegliò sudato, cercandola, ma Lei non c’era più.
Suo figlio, che aveva solo 10 anni, avendolo sentito gridare, corse in camera e chiese che cosa fosse successo. Allora lui raccontò tutto al bambino.
Quando terminò la sua storia, il figlio esclamò: “Ma quello che descrivi è il fantasma della scuola! Conosciamo tutti l’Angelo di San Salvatore!”.
E così Lui comprese che non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere la donna che gli aveva salvato la vita.
Il musicista di Tarik O.
L. e L. non si conoscevano finché, in una notte di metà settembre, si ritrovarono l’uno nella vita dell’altro.
Ma partiamo dall’inizio…
Leona si era trasferita in questa città perché voleva iniziare una vita diversa. Diversa da quella che aveva conosciuto, con le delusioni e le lotte infinite, nonostante tutti i suoi sforzi.
“Ora o mai più!” si disse e così, a 40 anni, fece un cambiamento drastico e si trasferì dall’altra parte del mondo.
Tuttavia la nuova vita era più difficile di quanto si aspettasse. Non si aspettava l’isolamento e la solitudine causati dal trovarsi in un paese straniero dove, nonostante ne parlasse la lingua, non capiva davvero la gente del posto. Trovava le loro abitudini sconcertanti, per esempio il fatto di bere alcolici in piedi al bar prima di cena (e le ragazze addirittura con quei tacchi alti!) o ancora il loro atteggiamento così “flessibile” nei confronti degli orari. E perché mai c’erano gatti randagi ovunque?
Un giorno d’estate, tornando come al solito dal lavoro in bicicletta, Leona sentì una musica celestiale provenire da una piccola piazza che le ricordò quel tempo più felice quando, ancora così giovane, sua nonna la portava nelle sale da concerto. Curiosa, si diresse verso la piazza e vide un giovane che suonava un violoncello. I biondi capelli lunghi gli ricadevano sul viso e i suoi occhi erano chiusi come in trance. Alcune persone si erano fermate ad ascoltare ma la maggior parte dei passanti, impegnata solo a tornare a casa dopo un’intensa giornata di lavoro, non prestava molta attenzione al musicista.
Leona fu come trafitta da quel suono meraviglioso. Rimase paralizzata sulla sua bicicletta e non si accorse nemmeno dei pedoni arrabbiati a cui stava bloccando il passaggio. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasta lì, ma alla fine il giovane musicista, dopo aver suonato le note morbide finali del pezzo, aveva aperto gli occhi, aveva messo velocemente il violoncello nella custodia e se n’era andato, come se fosse in ritardo per un appuntamento.
Dopo quel giorno, Leona lo vide suonare regolarmente nella piazzetta. Il momento clou della sua giornata divenne il tempo passato ad ascoltarlo. Non gli parlava mai e non era sicura che l’avesse mai notata, ma le andava bene così. Tutto ciò che voleva era ascoltare le squisite melodie e guardare il movimento sensuale dell’archetto attraverso l’elegante corpo dello strumento.
Una sera piovosa di metà settembre stava tornando a casa in bicicletta per le strade di ciottoli della città; sperava di ascoltare il giovane musicista, ma sapeva che era improbabile, a causa della pioggia. Nella sua mente stava immaginando la bella, ossessiva melodia di Saint-Saëns, Il Cigno, quando all’improvviso un gatto randagio saltò davanti alla sua bicicletta. Leona cercò di sterzare ma le pietre bagnate erano scivolose, la sua bicicletta perse aderenza e finì per terra. L’ultimo pensiero che aveva avuto mentre cadeva dalla bici era stato “grazie a Dio indosso sempre il casco!”
Quando si svegliò era confusa. Le faceva male la testa e non riusciva a girare il collo ma poteva vedere il soffitto e le inconfondibili piastrelle bianche tipiche di tutti gli ospedali del mondo. Poi si ricordò del ritorno a casa in bici sotto la pioggia e del gatto rosso.
“Ciao, stai bene?” sentì qualcuno chiedere. Lentamente si voltò verso la voce e subito riconobbe i lunghi capelli biondi del musicista.